La Piccola Compagnia della Magnolia chiude il cartellone del Teatro Astra
Si è conclusa la stagione del Teatro Astra di Torino, e come si è conclusa! L’ultimo spettacolo è stato davvero una perla, una ciliegia, un monile. Dopo aver ospitato compagnie da ogni dove, la città si è rivolta alle forze locali: entra in gioco la Piccola Compagnia della Magnolia, in programma dal 19 al 21 maggio. Fondata nel 2004 da Giorgia Cerruti e Davide Giglio, PCM è una realtà indipendente la cui missione consiste nel plasmare situazioni contemporanee di altissimo livello, in termini di contenuti e di estetica. Noi li abbiamo conosciuti anni fa, durante un Festival delle Colline Torinesi: era il 2019 e loro portavano Mater Dei, un testo molto complesso di Massimo Sgorbani sul mito di Europa, stuprata dal prozio capo degli dei e madre del più celebre Minosse. Nel 2020 abbiamo avuto il piacere di assistere a Vita e morte di Zelda Fitzgerald, mentre nel 2021 è stata la volta di 1983 Butterfly, sul singolare caso di Bernard Boursicot e Shi Pei Pu.
Lo spettacolo, questa volta, è stato scritto da Fabrizio Sinisi, barlettano classe 1987, docente di drammaturgia, autore affermato. Una favola eretica, un testo che unisse eresia e utopia, volevano questo Cerruti e Giglio, i quali hanno effettivamente ricevuto una creatura affascinante, sfaccettata e grave quanto una statua di cristallo avvolta da certe nebbie che, possiamo dirlo, diraderanno. Definita già nel comunicato stampa come una tragedia da camera contemporanea, Favola è la vita di G. e D., interpretati da Giorgia e Davide: una coppia destinata a rivivere la realtà attraverso tre situazioni oniriche, tre alterazioni che intrappolano in primis il personaggio femminile, nel cui passato s’incunea il trauma dei traumi. Biografia, storia e politica s’intrecciano. Il testo, infatti, si lega anche (e forse, in parte, involontariamente) alla questione delle reclusioni di massa che abbiamo affrontato di recente, e indaga le conseguenze della clausura, dell’abbandono, del delirio: Sinisi definisce G. e D. come due individui dirompenti verso l’esterno quanto più lo spazio intorno a loro si contrae. Ed effettivamente li vedi, lì, in un perimetro di nulla: una singola, piccola parete bianca come fondale, che appare più grande quando diviene il supporto per la proiezione di alcuni segmenti di videoart, i quali accompagnano lo spettatore nella creazione di un immaginario più completo. L’orologio, in alto a destra, è sincronizzato con la realtà del pubblico: sono le cinque per noi, e per loro. Ci stiamo specchiando? Pensiamoci. E poi quelle due o tre linee come di un quadro che punti al minimalismo figurativo, tanto basta per dare l’idea di un salotto i cui confini possono apparire valicabili, ma evidentemente c’è qualcos’altro: una barriera più alta, interna. Come una striscia da campo sportivo, la linea bianca li rinchiude in un rettangolo e pure in una partita uno contro uno e tutti contro tutti, e quindi anche contro il proprio subconscio dilaniato, pericoloso come la belva ferita. Dentro la frontiera ci sono uno sgabello foderato di verde, un tavolino, un vaso di fiori, una poltrona per G., accasciata in vestaglia e friulane, farneticante e saggia, confusa e parzialmente consapevole, amica intima del proprio cuscino. D. le cammina intorno, si parlano, lui è parecchio più dinamico, imperniato probabilmente su quello stoicismo maschile che porta al nascondimento del dolore. Fuori, sulla sinistra, speculare a G. e all’orologio, è stata parcheggiata una culla: il trauma del passato assume una forma un po’ più netta. Inoltre, come si accennava in precedenza, in un’ora e venti si susseguono tre sogni, tre ricordi impropri, da Pocahontas alla Francia del Settecento: la costante è la denuncia dello squilibrio, innanzitutto di genere, e poi politico, economico e culturale. Parallela all’esperienza della coppia, corre la condanna retorica del sopruso e dei sistemi che reiterano le iniquità. Peraltro, da qui si passa alle esortazioni: La vita vera non è ai margini del potere, abbattete il muro di classe che vi hanno messo davanti! E tutto ciò si sviluppa, per l’appunto, anche tramite i video sulla parete, abnorme televisore collegato al piano del sonno, complemento d’arredo inteso come portale di coscienza.
Giglio e Cerruti incarnano D. e G. con la maestria che abbiamo imparato a conoscere bene: il livello di adesione al personaggio è surreale, tanto che qua e là sono disseminati certuni apici interpretativi grazie ai quali uno si scorda pure di essere a teatro, poiché dinamiche e ferite risultano avvicinabili a molti. Insieme riescono davvero a dare l’impressione di un evento-matrioska: lei ha dimenticato, lui ricorda; lei dentro, lui esce; e invischiati troviamo Pasolini, Calderon de la Barca, il colonialismo, la genitorialità, la convenienza… Stratificazioni, veli, livelli. Favola è l’incubo, il rischio dell’infelicità, dalla quale tuttavia può germinare il Bene. Gli spettatori sembrano aver compreso: applaudono soddisfatti, è un successo.
Davide Maria Azzarello