La parola incompiuta da Pirandello a Latini
“Nessuno è nel corpo che l’altro ci vede.”
L’immensità di Roberto Latini è nella consapevolezza che ha del movimento di ogni muscolo del suo corpo e nella consapevolezza di ogni fiato della sua voce. La padronanza di sé è un elemento superlativo se si vuole comunicare al pubblico l’essenza di ogni attimo portato sulla scena e Latini lo sa fare benissimo.
Nel testo incompiuto I giganti della montagna di Luigi Pirandello lo abbiamo visto lì solo sulla scena del Teatro Vascello di Roma, lo abbiamo visto uomo e donna, cristo crocifisso dove tra le costole il respiro parlava assordante, ci parlava attraverso il non pronunciamento delle parole, parole non dette, fiatate e impreparate. Un’impronunciabilità che diventa altro da sé, un divenire aria. Ora è un cielo azzurro, ora nuvole ora pioggia di bolle su un campo di grano. Ora luce, ora buio.
Con le musiche di Gianluca Musiti e le luci di Max Mugnai si parte dall’incompiutezza pirandelliana per arrivare ai suoni dell’esistenza, al limite del finito per sopravvivere alla paura, all’incontro col nostro doppio, nell’altrove. È inquietudine, è forza, è ironia e leggerezza Latini. La sua poliedricità ha qualcosa di surreale che lo innalza al di sopra degli animi e delle aspettative. Ci proietta di fronte a quadri che raffigurano scenari dalla grande forza emotiva, dove la nudità e la posizione fetale rispecchiano la fragilità umana. Dall’orrore di uno spaventapasseri in croce al coraggio di chi in bilico riesce a non averla quella paura che Pirandello ci lascia, prima di morire. Il finale di questo testo, a cui una fine non appartiene, è un atto di coraggio dove insieme a Roberto Latini partecipa il palcoscenico stesso con i suoi strumenti scenici e noi. Lì, incantati.
Marianna Zito