“La frontiera spaesata. Un viaggio alle porte dei Balcani” di Giuseppe A. Samonà
“La frontiera spaesata. Un viaggio alle porte dei Balcani” di Giuseppe A. Samonà (Exorma, Roma 2020, pp. 309, euro 16) ripercorre, partendo da Trieste, il territorio che fu della Repubblica Veneta, poi della ex Jugoslavia, e ora dei vari Stati prodotti da una guerra terribile di cui sono ancora visibili le ferite. In questo lungo itinerario si intrecciano fra loro linguaggi diversi, fatti storici eclatanti, politica, letteratura, architettura, forme artistiche e quanto altro è stato prodotto in queste zone, a partire dal VII secolo fino ai nostri giorni.
Il primo capitolo del libro è dedicato a Trieste. La città è sempre stata, ed è ancora, il crocevia di diverse culture e religioni. Città di frontiera e sintesi dei caratteri mitteleuropei e mediterranei, essa è il simbolo e l’epitome dello spaesamento, ovvero della condizione di un paese che non è un solo paese ma molti paesi insieme. Ciò spiega forse il fascino che Trieste ha esercitato sugli scrittori, da Rilke a Svevo, da Proust a Joyce. Joyce, in particolare, vi si stabilì dal 1904 al 1920, quasi eleggendola a sua seconda patria. Lo scrittore iniziò a comporre l’Ulisse in questa città, che considerava la culla della sua anima, e la città lo ha ringraziato con la statua a lui dedicata sul Ponterosso che attraversa il Canal Grande. Ma probabilmente anche il pastiche linguistico dell’Ulisse, e poi di Finnegans Wake, deve parte della sua genesi alla lunga permanenza in una città di confine dalle mille lingue parlate. Basaglia è il secondo nome che sorge spontaneo parlando di Trieste, insieme a Marco Cavallo, al muro di recinzione dell’Ospedale Psichiatrico abbattuto al suo passaggio, e alla “nave dei folli” in giro per la città. Unica nota ancora dolente a Trieste, la mancata estradizione di Oberhauser, il macellaio della Risiera di San Sabba, condannato dalla giustizia italiana, ma morto tranquillamente nel suo letto a Monaco di Baviera. Lasciata Trieste a bordo di un autobus, mezzo maggiormente in uso del treno, si snodano – davanti al lettore – Capodistria, e poi Lubiana, Pola, Zagabria, e da lì il viaggio potrebbe proseguire verso i Balcani e oltre. Ogni tappa del viaggio ripercorre personaggi, eventi e documenti più noti e meno noti, ma tutti rivissuti all’insegna del motivo conduttore dell’opera, lo “spaesamento”, ovvero la coscienza della identità-diversità dei luoghi e delle persone.
Opera aperta e policentrica, “La frontiera spaesata” è un lavoro di grande fascino. Benché venga presentata minimalisticamente come un giornale di bordo e una semplice raccolta di appunti, l’opera è stata composta pazientemente con estrema cura dei dettagli e solida conoscenza storica. Scritta con un linguaggio di alto livello letterario, che si apre molto spesso alla poesia, essa è destinata a occupare un posto di rilievo non solo nello scaffale del viaggiatore, ma anche e soprattutto in quello, ben più ampio, della letteratura italiana contemporanea.
Luciano Albanese