Intervista a Giulio Larovere: il diario di viaggio di John Knewock tra amore e libertà nel nuovo disco “Road Sweet Home”
Stati Uniti, 1968. John Knewock, ventenne, lascia la casa dei genitori a Detroit e inizia a viaggiare “on the road”. Durante quel viaggio John raccoglie in un diario poesie, racconti e canzoni che raccontano la sua storia. Ed è proprio questa storia che rappresenta il filo condutture di “Road Sweet Home”, il nuovo disco di Giulio Larovere di prossima uscita, anticipato dal singolo “To see a lonely heart” uscito lo scorso 3 dicembre. Il disco vede la partecipazione di Giulio Larovere (voce, chitarra acustica), Enrico Meloni (chitarra elettrica), Giuliano Dottori (chitarra elettrica), Andrea Vismara (basso), Daniele Capuzzi (batteria), Raffaele Scogna (tastiere), Vincenzo Marino (sax). Un progetto molto interessante e particolare, di cui abbiamo chiesto ulteriori dettagli all’artista.
Chi è John Knewock e cosa ti ha colpito di lui tanto da dedicargli un disco?
John Knewock, pseudonimo di John Cowen, nato a Detroit (Michigan) nel 1948 e morto nel 2015 a Sausalito (California) era un uomo che amava la vita e la libertà, che ha inseguito per la maggior parte della sua vita, non conformandosi ai dettami della società. Amava anche scrivere poesie e canzoni e, quindi, eccoci qui insieme. Di lui mi ha colpito il suo coraggio di lasciare, a vent’anni, la casa dov’era nato per andare in giro, zaino in spalla, a vedere il mondo con i suoi occhi. Mi ha colpito anche che per assecondare la sua sete di libertà e di vita ha dovuto compiere molte rinunce, soprattutto dal punto di vista dei legami affettivi.
“To see a lonely heart” è il tuo nuovo singolo, in cui il ritornello dice “to see a lonely heart you first got you play the part of a lover to see what you’ve been missing”: sei d’accordo con questi versi scritti da John?
Sono d’accordissimo. Quello che scrive John mi fa pensare a quella frase che dice “solo quando perdi qualcosa ti rendi conto del suo valore”. In questo caso, per comprendere che cosa prova un cuore solitario, l’unico modo è innamorarti. Questa paura di perdere la libertà per seguire il suo cuore è un tema che nel libro ricorre spesso e credo che questa paura l’abbiamo provata un po’ tutti nella vita.
Hai composto i brani in due notti, il 4 e 5 febbraio del 2020: nelle dieci canzoni del disco è raccontata l’intera storia di John Knewock o solo una parte?
La parte più ricca di riflessioni, costellata di poesie e “canzoni”, è la parte iniziale del diario di viaggio. John è giovanissimo e gira ovunque, saltando sui treni merci, facendo l’autostop, imbarcandosi su navi mercantili per vedere anche cosa ci fosse oltre ai confini statunitensi. Nella parte centrale del libro, quando John è adulto, è giustamente costretto a trovare un modo più “conforme” di vivere (che brutto termine “conforme”, non trovate?) e di sostentarsi. Verso la fine del libro, si lascia andare all’Amore e si gode la sua vita di coppia. Purtroppo, riprende a scrivere il suo diario, stavolta sotto forma di blog su internet, quando gli diagnosticano un tumore contro il quale ha combattuto con tutte le sue forze prima di lasciarci nel 2015. Nella parte finale, a mio avviso molto toccante, ripercorre le tappe del suo viaggio e della sua giovinezza, facendo inevitabilmente dei bilanci che ha condiviso con i suoi cari ed i suoi amici, lasciandoci in eredità il suo messaggio.
Sul tuo canale YouTube hai caricato dei video che raccontano la costruzione di “Road Sweet Home”: al momento ci sono quattro capitoli, da zero a tre, di quanti capitoli si compone l’intero racconto?
Sarò sincero, non me ne vogliate. Il progetto iniziale prevedeva solo il video di quello che uscirà come secondo singolo. Grazie però all’intuito e all’aiuto di Larsen Premoli e dello staff di RecLab Studios, abbiamo deciso di documentare tutte le fasi di registrazione del disco con la classica frase “non si può mai sapere!”. Con quel materiale è stato possibile creare il video di presentazione del progetto di crowdfunding, una “puntata zero” che spiega un po’ tutta la storia e, rullo di tamburi, una puntata per ogni canzone del disco (saranno 10 in tutto). Una sorta di documentario perché questa storia, a nostro avviso, andava raccontata come si deve… era troppo bella per lasciarla solo nelle pagine del libro.
Quando verrà pubblicato il disco? Sarà preceduto da un altro singolo?
Il disco uscirà nel 2021, una volta che avremo pubblicato tutte le puntate del documentario. Uscirà un altro singolo, dal titolo “Rain”, con relativo videoclip che sarà la penultima puntata. Subito dopo, ci sarà l’epilogo con la decima puntata e la pubblicazione definitiva di tutto l’album “Road sweet home”.
C’è un brano a cui ti sei particolarmente affezionato?
Non so ancora decidere tra “Like the winds” (la cui puntata uscirà tra pochissimo, prima di capodanno – ndr) e “Wind cry”, la canzone che chiude l’album. Nella prima, John parla di una ragazza di cui si era innamorato e si rende conto che, malgrado l’amore che provasse per lei, il suo desiderio e la sua indole di essere libero, non creare legami, viaggiare e spostarsi, fossero comunque piu forti. Sente di non avere una direzione definita, proprio come il vento. Nella seconda, scritta durante una lunghissima attesa prima di imbarcarsi su una nave mercantile, dice “io sono solo un viaggiatore, io sono solo un uomo”, realizzando che nella sua vita non si è mai potuto fermare, ha sempre dovuto salutare tutti i suoi amici, lasciare tutti i suoi cari, inevitabilmente pensando che prima o poi invecchierà e morirà, interrogandosi sul suo destino. Sono entrambe canzoni che mi toccano profondamente per il messaggio che trasmettono e per le melodie che abbiamo creato. Quando le ascolto, ripercorro tutto il viaggio fatto fin qui e mi commuovo ogni volta.
Hai già pensato a come portare i brani dal vivo, considerando che le registrazioni sono state curate nei dettagli utilizzando strumentazione degli anni Sessanta?
Il fatto di essermi affidato a RecLab Studios, che ha messo a disposizione tutta quella strumentazione originale di quegli anni, mi fa essere ottimista. Il live me lo immagino grandioso, in un teatro, con le luci giuste, con proiezioni etc. Non riesco proprio a sognarlo senza i musicisti che han suonato nel disco e senza Larsen Premoli e il suo staff di RecLab; forse perché lo abbiamo vissuto tutti dal principio e sarebbe difficile da trasferire e da far comprendere appieno ad altre persone.
Avevi già in intenzione di scrivere canzoni per un tuo disco prima di incontrare la storia di John?
Da quando sono entrato per la prima volta in uno studio di registrazione nel 2015 per il mio primo EP “My inner thoughts” ho compreso che ADORO fare dischi… potessi farne uno all’anno sarei un uomo felice e soddisfatto! Se non avessi incontrato la storia di John, prima o poi mi sarei deciso comunque… però ci tengo a dire questo: credo molto nell’attrazione universale e sono certo che tutto questo non sia capitato per caso. Credo anzi che John volesse che il suo messaggio, che è la sua eredità (nel libro lo dice chiaramente) facesse un giro ancora per questo mondo e stavolta raggiungesse, oltre alle persone che ha amato e che lo hanno conosciuto, più persone possibile. Ed io sono stato un “tramite”, guidato da qualcosa di “più grande di me”.
Sei stato per tanti anni improvvisatore teatrale, come ti sei avvicinato al teatro e cosa ti ha dato quell’esperienza?
Mi sono iscritto ad un corso di Improvvisazione Teatrale tenuto dalla mia amata maestra Isabella Cremonesi, circa 10 anni fa. Avevo assistito nel weekend ad uno spettacolo completamente improvvisato. Niente scenografie, niente copione. C’erano solo gli attori che si inventavano le storie e collaboravano tra loro con una bellissima armonia. Due giorni dopo ero a fare la lezione prova e mi sono iscritto immediatamente. Inevitabile pensare al film “Sliding Doors” con brivido annesso… se non fossi entrato a far parte del Teatro del Vigentino, chissà se avrei mai conosciuto Paola Fiammenghi, la mia amica e compagna di improvvisazione che per prima mi ha parlato di John e del suo diario e da cui è iniziata tutta questa avventura. L’improvvisazione ti insegna a dire “SI” non solo sul palco ma nella vita di tutti i giorni, ti insegna ad accogliere le proposte senza giudicarle, ad accettare gli altri e a proporre a tua volta nuove idee per far proseguire la storia. Penso sia grazie all’improvvisazione teatrale che ho detto “SI” alla mia nuova vita quindi mi sento di affermare che l’improvvisazione mi ha risvegliato e mi ha dato forza e coraggio per mollare tutto e seguire le mie passioni. Grazie per il vostro tempo e per questo spazio che mi avete dedicato Buona rinascita per il 2021! Giulio
Grazie a te Giulio! Non vediamo l’ora di ascoltare tutto l’album!
Roberta Usardi
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