Il viaggio on the road di John Knewock nel nuovo disco di Giulio Larovere “Road Sweet Home”
John Knewock, pseudonimo di John Cowen, è un americano che nel 1968, quando aveva vent’anni, ha lasciato casa sua a Detroit e si è messo a vagabondare scrivendo un diario fatto di racconti, poesie e canzoni. La sua storia on the road, durata trent’anni, è stata messa in musica ad Giulio Larovere nell’arco di due notti, il 4 e il 5 febbraio 2020 che lo scorso 18 febbraio è stata pubblicata nel disco “Road Sweet Home”, ovvero “Strada dolce casa”. In occasione dell’uscita del singolo “To see a lonely heart” lo scorso dicembre avevamo fatto qualche domanda a Giulio per avere qualche anticipazione (qui l’intervista).
Il disco si compone di dieci brani inediti in lingua inglese, preprodotto da Giuliano Dottori e coprodotto, registrato, mixato e masterizzato da Larsen Premoli (RecLab Studios Milano). Nel disco hanno suonato: Giulio Larovere (vocals, acoustic guitar), Enrico Meloni (electric guitar), Giuliano Dottori (electric guitar), Andrea Vismara (bass guitar), Daniele Capuzzi (drums), Raffaele Scogna (keys), Vincenzo Marino (sax). Un disco che racconta la storia di un uomo che vaga per il mondo, ma che allo stesso tempo compie un viaggio dentro se stesso. Una storia che parla dell’essere umano alle prese con il concetto di libertà, un tema che ricorre spesso nei brani e che più volte ha portato a una scelta dolorosa, lontano da affetti stabili.
Si tratta di un disco rock, incisivo, la voce di Giulio Larovere arriva dappertutto con un forte impatto emotivo, a volte graffiante, a volte sofferto, empatico; i testi hanno sempre di base il concetto di libertà che è stata la guida del viaggio che John Knewock ha compiuto. Andiamo brano per brano.
“Paper bag” è una ballata armoniosa che parte da un sacchetto di carta, di cui si descrive il percorso dato da una folata di vento, fino a scoprire che quel sacchetto di carta è il protagonista stesso, che può trasformarsi in qualsiasi cosa: “I’m a bag of candy, or a bag of clothes, or a bag of tools. It could become anything, no, it must become something, ‘cause I’m the paper bag”.
“To see a lonely heart”, il singolo che ha anticipato il disco, ha un ritmo blues graffiante che trascina ad ogni battuta- Parla di un dolore, quello di un cuore rimasto solo e fuggito via impaurito dall’amore perché imprigionato dalla propria libertà: “but now I’m trapped in freedom, a prisoner whose heart is burning, to see a lonely heart you’ve first got the part of a lover to see what tou’ve been missin’”.
“Why live in Hell” con il suo riff di chitarra distorta racconta la discesa di un diciottenne nell’inferno dato dall’uso di sostanze allucinogene: “life is so short, why lain do you boasf, why live in hell when heaven is so close” seguendo le proprie regole di vita “if your rule is freedom, you’re free to roam”.
“What’s the use in being free” è un brano grintoso che si avvale di una splendida sezione di fiati, per un testo in cui ci si chiede quale sia l’utilità dell’essere liberi: “It’s always up to me to call, can’t hardly reach you at all, would someone please ecplain to me what’s the use of being free”.
“Like the winds” è una ballata struggente, che racconta una storia d’amore, di una donna incontrata durante il viaggio, ma che John ha abbandonato perché avrebbe compromesso la sua libertà: “for I have no direction, like the winds above”.
“Ramblin’ boy” è un brano con una sottile vena amara, ma consapevole, che parla di esperienze di vita vissute più volte: “I’m living in a silly place, I live in a silly time, living just my silly life and it’s suitin’ me just fine”.
“Then now” è un brano introspettivo e struggente, in cui si fa mente locale dei ricordi, dei momenti, di tutto ciò che John ha visto e che ha passato: “Gone are a thousand days of me, gone are a thousand mornings, gone are a thousand memories, gone like the day I was born in”.
“In Hell” è una canzone cupa che riflette il messaggio già presente nel titolo: la vita in prigione, senza l’amata libertà: “I’m not a man who can go without mornings, I’m not a man who can go without songs, so many things that I’d be needing, my friend must be very strong”.
“Rain”, secondo singolo estratto dal disco, ripercorre una pagina del diario di John cdurante alcuni momenti del suo vagabondare: “Me I save the pieces, what’s lost I’ll never regain, all these things have happened to me and they’re happening again”.
“Wind cry” è un brano che si presenta con gradualità: per un minuto si ascolta un intro di chitarra acustica con atmosfera malinconica; quando entra il resto della band entra anche la voce, che parla di una partenza e dell’irrequietezza che porta a muoversi verso la libertà, senza vincoli di alcun tipo “Me, I’ m just a traveller, me, I’m just a man, all I got is inside me, now, in my own two hands”.
“Road sweet home” è un disco notevole, capace di emozionare e coinvolgere profondamente portando a riflettere sul concetto di libertà a tutto tondo.
Roberta Usardi
https://www.giuliolarovere.com/