Enne: tempo, paura e felicità tra realtà e immaginazione
Enne (Voland, pp. 165 pagine, euro 16) è il nuovo romanzo di Valentina Durante, copywriter, consulente di comunicazione, scrittrice. Insomma, una che con le parole ci sa fare, eccome.
Colpito dalla perdita improvvisa della donna che avrebbe dovuto sposare, il protagonista e voce narrante del libro abbandona la vita per come l’aveva conosciuta fino ad allora: lavoro prestigioso, bella casa, viaggi, feste, vestiti di un certo tipo. E passa a una vita fatta di poche cose e molto autocontrollo. Fa la fila alla posta e ai CUP per conto di altre persone, il guardiano notturno di un parco e vive nell’appartamento di custode. Le chiama attività, mentre la sua unica, vera occupazione è quella di togliere e rimettere dieci vasi di vetro trasparente su una mensola di ciliegio. Ogni sera, alla stessa ora, con la stessa meticolosità, le stesse distanze tra un vaso e l’altro, e tra i vasi e i bordi della mensola. Per poi scattarsi un selfie, sempre dalla stessa angolazione. Solo su questo mette davvero la sua concentrazione.
“In quel momento noi ci vediamo per quello che siamo. E io, ogni giorno, da tre anni, continuo a essere quello che ero. Nulla cambia nella mia vita, nulla si modifica; il mio viso invecchia perché l’invecchiamento è una legge di natura alla quale non posso sottrarmi (né vedrei motivi per farlo), ma la mia vita – la vita che invece posso dominare – resta perfettamente immobile.”
Fino a che i pacchi che deve spedire alla posta per conto di una abituale cliente, non lo incuriosiscono al punto tale da mettere da parte la sua occupazione, per lasciare posto all’amore immaginato tra un uomo e una donna. Ed è così che scopriamo pezzi della sua storia d’amore, pezzi di vita che non ci sono più. Ma soprattutto il protagonista ci rende partecipi di questa “non-vita”, in cui non vuole legami di alcun tipo se non fugaci chiacchiere con estranei, attraverso le lettere che scrive a Enne, una sorta di diario a cuore aperto.
“Ho saputo che la mia vita di prima non lo era più. Anche la donna che avrei dovuto sposare non lo era più. Ho saputo che sarei rimasto, Enne, e senza più alcun rischio, perfettamente vuoto e bianco.”
E quando pensiamo che la storia sia già tutta lì, ecco che irrompe la donna col basco e grazie a lei scopriamo chi è Enne, o meglio chi era, e riusciamo a dare nome e cognome al protagonista. E forse, una forma diversa ai fatti.
Brava la Durante a rimescolare le carte, a far sembrare lineare quel che non lo è. Ma in fin dei conti il concetto di tempo come labile, sfuggente, come una fusione costante di causa/effetto è sparso tra le pagine dall’inizio alla fine. Brava anche a sovrapporre realtà e finzione, a lasciarci col dubbio su quel che sia vero e quel che no. Ma forse brava più di tutto a consegnarci una piccola storia sul dolore, sui meccanismi di sopravvivenza e autocontrollo che mettiamo in atto quando ci si presenta davanti; e sull’umana difficoltà a trattenere la felicità.
“Quello era un tempo in cui ogni cosa esisteva. La felicità, soprattutto, esisteva, e io la rammento dotata di una forma perfetta, senza spigoli e senza punte, una felicità rotonda. Le cose rotonde se non ci fai troppa attenzione ti scivolano, ti scappano via, e infatti così è accaduto. Ed è accaduto anche a te, Enne. Apri le mani e di’: che cosa stai realmente trattenendo?”
Laura Franchi