Imaginarium, a Trani sta per concludersi la mostra autoantologica dei Forman
Nel mondo, soprattutto in quello occidentale, è netta la distinzione tra le espressioni culturali cosiddette mainstream e quelle indipendenti. Ognuno di noi, se vuole, a prescindere dalle proprie opinioni, può distinguere ciò che viene proposto in corrispondenza di un’esigenza di mercato e ciò che invece viene plasmato con la sola volontà di raccontare una verità che non dipenda dai (presunti) bisogni della massa. Forse esistono delle sfumature tra un polo e l’altro, ma comunque l’essenza di questo discorso rimane facilmente condivisibile. E, in tutto ciò, non si vuole suggerire alcuna eventuale superiorità di una delle due fazioni rispetto all’altra.
Attorno a Praga, ormai una ventina d’anni fa (i dati sono difficili da reperire) è nato un collettivo di artisti estremamente accattivanti che chiunque catalogherebbe come antitetici rispetto a qualsiasi versione del mainstream di tutto il cosmo. E il condizionale è d’obbligo, poiché è altamente probabile che non vi siate mai imbattuti nei loro lavori, che non vengono esattamente proposti al pubblico: è più facile incappare casualmente nei loro spettacoli, perché non esiste la benché minima traccia di un impianto pubblicitario come quelli ai quali siamo abituati. Ma di chi stiamo parlando? Tutto nasce con i gemelli cechi Matěj e Petr Forman, rispettivamente scenografo e regista, oggi cinquantacinquenni, che dagli anni Novanta portano avanti un’idea di teatro unica e formidabile, che unisce i luoghi fisici a quelli fittizi, il dramma e il circo, le trame e le icone. Se il cognome vi ha solleticato le meningi, tuttavia, è perché i due sono figli d’arte: il padre è quel Milos (scomparso ad aprile dell’anno scorso) che vinse il premio Oscar come miglior regista per Amadeus e Qualcuno volò sul nido del cuculo, che tutti abbiamo visto. In realtà, pare che un po’ tutta la famiglia Forman sia indissolubilmente legata all’arte: la madre dei gemelli, Vera Kresladova, era un’attrice; il fratello di Milos, tale Pavel, è un pittore; le tre figlie di Petr sembrano vicine al cinema (sembrano perché se googlate i loro nomi emergono dall’etere solo siti in lingua ceca, che purtroppo ancora non conosco). E tutti hanno vissuto o vivono la loro arte attraverso l’insolita ma incoraggiante equazione che vede avvicinarsi il successo e l’umiltà, l’affermazione e la modestia, l’ascesa e una forma di salubre onesto occultamento della stessa. Insomma, si tratta di gente che fa spettacolo senza fare rumore, senza recalcitrare per ottenere notorietà, senza ambire alla fama che poi sembra essere solo l’altra faccia della vanagloria o della tracotanza. Tra gli spettacoli dei Forman si annoverano Obludarium, Dead town e Aladino, presentati e acclamati in varie città d’Europa. In Italia, i Forman sono passati spesso da Pistoia e da Andria (e anche dalla scelta della città si capisce che il loro obiettivo non è la fama). In tutti questi anni, poi, è rimasto forte il loro legame con Praga, la loro città natale, dove tra l’altro hanno costruito un teatro sopra una nave abbandonata che per parecchi anni è rimasta itinerante lungo il corso del Moldava, che taglia in due la città.
A Trani, altra città cara ai Forman, c’è una splendida mostra che documenta e celebra l’attività teatrale e artistica dei gemelli e del loro collettivo. La rassegna s’intitola “Imaginarium” – mostra-labirinto nel fantastico mondo del teatro dei fratelli Forman. È stata definita auto-antologica perché la curatela è stata affidata al collettivo stesso, che ha scelto come esporre i propri artefatti. Già, perché al primo piano di Palazzo Beltrani, attraverso un circuito di nove stanze, è stata forgiata una fantasmagorica suggestione teatrale che trasporta i visitatori in un luogo altro, fatto di scenografie, pupazzi, marionette, giocattoli enormi e minuscoli, navi pilotabili, disegni, finti salottini aristocratici, orientaleggianti archi a sesto acuto, fotografie di performance del passato, video che raccontano della trasformazione di quella nave-teatro cui si accennava prima, maschere, ossa di animali non identificati e così via. Molti del circolo formaniano hanno dato il loro contributo per creare questo incantato angolo di percezioni sensoriali: Renata e Martin Lhotákovi, specializzati nella creazione di pupazzi e giocattoli di scena; Tereza Komárkova, che ha intagliato nel legno 365 pecore e 56 maiali; Barka Zichova, che realizza i cartonati di alcuni personaggi con dei buchi al posto della testa; e molti altri, tutti bene o male celati dal maestoso velo di chi lavora senza strafare, senza reclamizzare, credendo forse più nell’incontro casuale che non nell’instradamento da battage. È difficile raccontare questa mostra, come è difficile descrivere le esibizioni dei Forman e del flusso di persone e personaggi che li circondano, ma se sul vostro cammino incontrerete qualche conoscitore di tutto ciò, vedrete brillare nei suoi occhi la luce di chi si è imbattuto in qualcosa di autentico, artigianale, onesto e anche travolgente.
La mostra, che sfortunatamente non è accompagnata da un catalogo, è stata inaugurata il 16 luglio e finirà venerdì prossimo, il 6 di settembre. Avremmo voluto avvertirvi prima, ma è stata una scoperta fortuita e fortunata anche per noi. Purtroppo, quella di Trani è l’unica tappa italiana della rassegna, e quindi non avete altra scelta che partire subito per andare a vederla.
Davide Maria Azzarello