Il viaggio nella memoria di Paolo Miorandi con il romanzo “L’unica notte che abbiamo”
“L’unica notte che abbiamo” (Exorma, pp. 249, euro 16), è l’opera sesta di Paolo Miorandi, psicoterapeuta e scrittore.
“Da alcuni giorni impiego le ore immediatamente successive al risveglio a mettere su carta la storia che mi ha raccontato una vicina di casa che prima neanche conoscevo, è stato per via di una lettera finita nel posto sbagliato (…) mi piacerebbe chiamarlo resoconto, è una storia che nemmeno mi riguarda.”
Non è così che inizia questa storia. Inizia piuttosto in media res lasciando da subito parlare voci che non capiamo, che non distinguiamo, se non alcune pagine dopo, quando ci viene spiegato che il racconto che leggiamo è frutto dell’incontro casuale, dovuto a un errore nella consegna della posta, tra due inconsapevoli vicini di casa, solo a pochi piani di distanza in uno stesso palazzo. Un incontro casuale che diventa il pretesto per mettere sul tavolo tutte le carte, letteralmente, foto e lettere ormai sbiadite che sono quel che resta della storia di una famiglia, di pezzi di famiglia. Una famiglia certamente non tradizionale, la cui storia, con i vari personaggi, va dalla fine dell’Ottocento fino a tutto il ‘900. Elena Braus, una bestia selvatica come lei stessa si definisce, attraversa l’Italia dal nord fino alla punta dello Stivale, seminando storie fugaci e figli, tutti abbandonati. Solo così riesce a vivere Elena. I suoi figli, quelli che restano vivi e quelli di cui veniamo a conoscenza, si muovono nel mondo in modo altrettanto selvatico, incapaci di mettere radici o di coltivarle. Ma in fondo, da chi avrebbero dovuto impararlo? Si arriva fino ai figli dei figli, alle loro madri, zie e nonne, figure di donne anche estremamente moderne, in grado di ribellarsi alla logica del piccolo paese e della massa.
Il romanzo di Miorandi è un turbinio di voci che si alternano, spesso nel giro di poche righe, ognuna per raccontare anche uno stesso pezzo di storia appena letto, ma dal proprio punto di vista, con parole ed espressioni che a volte si ripetono, ossessive. È un racconto dinamico quello di Miorandi, in cui a poco a poco i molti personaggi trovano ognuno il proprio posto, intrecciando destino e racconto. Ci dice, Miorandi, una verità tanto semplice quanto grande: che “la vita dove può attacca”, al di là di ogni giudizio.
È un viaggio nella memoria, e nell’importanza di tramandare: la memoria dell’anziana signora che affida la propria storia al vicino di casa; quella delle varie voci narranti che affidano la propria versione della vita ormai passata; quella di chi si fa affidatario del racconto, quasi a voler colmare la propria assenza di ricordi: “Avrei legato insieme i due capi di un filo che altrimenti si sarebbe definitivamente spezzato, di uno tra i milioni di fili invisibili che ci permettono di tessere il nostro ponte di corde tese sopra l’abisso, lo stesso filo che, anche se nessun ponte fosse mai esistito, ci darebbe almeno la possibilità di immaginarlo.”
Laura Franchi