Il Vangelo atipico de I Cantieri Invisibili
A chiudere la rassegna Prosa dell’Estate Teatrale Veronese è stato lo spettacolo “Padre, figlio e spirito stanco” al Teatro Camploy di Verona, andato in scena dal 24 al 26 settembre.
La prima parte ha visto in scena Andrea de Manincor, convincente come sempre in uno stile spinto verso il classicismo, ma dirompente anche con un testo che spinge notevolmente verso il tono triviale, forse fin troppo. Interpreta il padre di Sebastiano Bronzato, a cui spetta anche l’originale regia, che si muove in punta di piedi come un qualsiasi figlio che è stato amato ma sempre incompreso. Ma i padri sono stati anche figli ed ecco che nel ricordo di nonno Angelo si cerca di riattivare la memoria per celebrarne il ricordo: il metateatro, se fatto bene, funziona sempre e in questo caso l’attacco risulta convincente e a tratti comico, grazie alla verve degli attori.
Buio e luce, monologo e ripetizioni, il pubblico divertito e numeroso assiste alle prove di teatro, fino a che gli attori stessi chiedono di dare credito alla possibilità di credere alla messinscena, facciamo finta che, così come giocano i bambini. Padre e figlio desiderano recitare momenti della vita familiare con il nonno e si innesca un labirinto di ruoli, rimorsi e rancori, sempre con una chiave leggera e auto-ironica. Alberto Bronzato è ovviamente lo Spirito Stanco e la sua recitazione è decisamente una prova eccellente. Il testo di Francesca Mignemi ha una struttura forte e minimalista, ha delle punte eccessive grottesche che fanno sempre impazzire il pubblico ma che forse potrebbero essere sostituite da altro. A parte questo, l’aggancio con il Padre dei padri è reso in maniera atipica e riesce a raccontare con divertimento e anche punte di commozione il rapporto che ogni figlio/nipote/padre ha avuto. Gli spettatori entrano in armonia con i personaggi, si generano piccole importanti catarsi. È interessante l’ultima cena e il ruolo del pane: non ci sono traditori seduti ma aspettative e sentimenti delusi, cose non dette, così come in ogni buona famiglia che si rispetti. Il sacro diviene sacrilego, amen.
Dopo ogni conflitto generazionale segue una morte o piccole morti: dei giudizi, dei rancori inutili, dei fili della memoria che ha l’onere di plasmarsi e di evolvere assieme alla consapevolezza che si acquisisce con i percorsi di vita. E poi, eccola, la resurrezione, il cambiamento dopo il conflitto. Non ci sono padri senza colpe così come non ci sono figli senza aspettative ma la ruota può donare la paternità e allora il giro si ripete. Si avvia un girotondo di battute, gag, racconti, modifiche della scenografia con pochi importanti elementi. Quando gli attori hanno forte presenza scenica, sono sufficienti anche un armadio e un tavolo. Gli armadi e i tavoli, soprattutto nella cultura tradizionale italiana, sono luoghi fluidi di ricordi, porte aperte per fantasmi e spiriti non ancora passati oltre. Sono mondi che si aprono e si tramandano. Agli spettatori viene chiesto di essere partecipi in modo attivo, la storia che si racconta è la storia di tutti e la quarta parete può essere celata.
“Padre, figlio e spirito stanco” è una rappresentazione godibile, piacevole e nella sua stravaganza ha dei momenti innovativi. Da vedere.
Silvia Paganini