Domenica 19 gennaio si apre la rassegna “Pianisti di altri mondi” al Teatro Franco Parenti
Con la nuova collaborazione tra il Teatro Franco Parenti e la Società del Quartetto si vuole offrire un nuovo modo di “fare musica” rivolgendosi ad un pubblico più ampio di quello che tradizionalmente viene ai concerti.
“Milano è una città culturalmente unica – dice Ilaria Borletti Buitoni presidente della Società del Quartetto – anche perché le istituzioni milanesi sanno collaborare e l’iniziativa “Pianisti di altri mondi” è il frutto di questo spirito che porterà al Franco Parenti per la Società del Quartetto artisti straordinari con programmi affascinanti”.
“La collaborazione fra il Teatro Franco Parenti con la Società del Quartetto di Milano – sottolinea Andrée Ruth Shammah – porta nel nostro teatro una rassegna musicale di grandi interpreti che rafforza il nostro costante interesse per la contemporaneità. Ancora una volta il Franco Parenti sarà il punto d’osservazione privilegiato del panorama creativo internazionale, in una città come Milano, che oggi è il centro della vita culturale del Paese”.
La rassegna si configura come un viaggio straordinario in 8 tappe affidato a 11 musicisti dal mondo. Un percorso, ideato da Gianni Morelenbaum Gualberto, che spinge a varcare frontiere geografiche, stilistiche, temporali, attraverso più linguaggi e sincretismi. Per sfatare il mito di una musica contemporanea incomunicabile e arcigna e la fama ostile che accompagna molta produzione del Novecento musicale e per fare la conoscenza – non senza divertimento e levità – con mondi di grande fascino e complessità, di straordinaria varietà e vivacità. Per seguire gli sviluppi della cultura musicale accademica extra-europea, in particolar modo quella delle Americhe, dal Novecento fino ai nostri giorni.
Il cartellone è affidato a interpreti di grande notorietà e rilevanza internazionale e unisce impegno, spettacolarità e qualità, esponendo la molteplicità di esperienze che la musica vicina ai nostri tempi sa offrire.
Domenica 19 gennaio la rassegna si apre con Vijay Iyer, pianista e compositore statunitense. Autore e interprete celebrato internazionalmente, spalanca una finestra sulla musica improvvisata che, partendo dal jazz, è diventata uno fra i principali veicoli espressivi della tradizione musicale americana, assimilando una molteplicità di materiali: dalle strutture accademiche agli echi dei song e delle canzoni popolari ai ritmi che il Nuovo Mondo ha saputo estrarre da più e diverse tradizioni. È stato fin da giovanissimo un genio della matematica, chiamato a Stanford poco più che adolescente. Ha mollato tutto per darsi alla musica, e in poco meno di un decennio è diventato una star negli Stati Uniti, mescolando la sua tradizione (i genitori sono stati fra i primi a emigrare dall’India) con quella della musica contemporanea e quella improvvisata. Oggi è professore con cattedra a vita a Harvard, ha scritto testi illuminanti di filosofia della musica improvvisata e sui criteri neurologici e antropologici dell’improvvisazione. Elegante di portamento, vagamente altero e professorale, ha uno spiccato sense of humor di marca britannica più che americana. Ha ricevuto la MacArthur Grant (dotazione è 500.000 dollari), che negli Stati Uniti si conferisce a chi è considerato un genio. È artista ECM.