“Il sogno di un uomo ridicolo” – L’amore secondo Dostoevskij
Il Teatro Out Off ha presentato fino al 2 giugno “Il sogno di un uomo ridicolo” di Fëdor Dostoevskij, un monologo che induce alla riflessione trattando tematiche profonde e importanti come il suicidio, l’amore per la vita e la solitudine. La traduzione e la drammaturgia sono di Fausto Malcovati e Mario Sala, la regia di Lorenzo Loris, che in questi ultimi anni sta trattando il rapporto tra letteratura e teatro e non è la prima volta che affronta uno scritto di Dostoevskij.
“Il sogno di un uomo ridicolo” venne inizialmente concepito da Dostoevskij come un racconto fantastico: fu iniziato nel 1876 e fu inserito nel Diario di uno scrittore, che spicca per le riflessioni severe e conservatrici che rovesciano completamente il pensiero progressista dei primi anni dell’autore. Il protagonista è un uomo ridicolo che, stanco di essere deriso dai propri simili, decide un giorno di suicidarsi ammirando una stella che brilla nel cielo. Viene però distratto da una bambina che chiede aiuto e a cui rifiuta assistenza in quanto troppo preso dalle proprie aspirazioni di morte. Quando torna a casa si addormenta e inizia a sognare; le oniriche fantasie di quella notte saranno cruciali nel determinare le sue scelte. Il messaggio può essere riassunto in alcune citazioni tratte dallo spettacolo: “Bisogna soffrire per amare”, “Bisogna soffrire per scoprire la verità”, ma soprattutto “Amare salverà il mondo”, la frase conclusiva con cui l’attore protagonista saluta la platea: una rivelazione che dissuaderà il protagonista dal suicidio.
La scenografia di Daniela Gardinazzi è alquanto singolare: poche panche riservate al pubblico sono disposte intorno alla zona centrale del palcoscenico; in scena solo una poltrona e un tavolo ai lati opposti dello spazio scenico e due lumini. La platea nascosta verrà rivelata al pubblico solo alla fine, quando platea e palcoscenico invertiranno le proprie funzioni. Si tratta di una soluzione estremamente suggestiva ed efficace da un punto di vista artistico, ma piuttosto scomoda per gli spettatori, che sono costretti a restare seduti su dure panche di legno e il cui sguardo fatica a farsi largo. Le luci e la fonica di Luigi Chiaormonte hanno accompagnato la rappresentazione silenziosamente ma con efficacia, mentre costumi di Nicoletta Ceccolini hanno trasformato l’Uomo Ridicolo in un pagliaccio con scarpe tricolore consumate, un vestito a righe bianco e blu, un cappellaccio beige, un cappotto blu e un naso dipinto di rosso. Mario Sala si è trasformato in un personaggio dall’andatura e dalla voce buffa, eppure ciò che diceva era serio, malinconico e tragico, così il vestiario variopinto rendeva ancora più struggenti le sue parole. A tratti la voce diventava cupa o persino rabbiosa, rendendo estremamente profondo il personaggio e per nulla simile a una macchietta comica. Mario Sala lo interpreta egregiamente, trasformandosi in un Uomo Ridicolo che, anziché divertire, induce a riflettere e commuove, nonostante il naso rosso da clown. L’unico personaggio in scena racconta in prima persona, ripercorrendo un sogno avvenuto nel passato e adoperandosi per svolgere quella che, nel finale, rivelerà essere la sua missione.
Nonostante la gravità delle tematiche trattate, lo spettacolo scorre in modo amabile e leggero, il messaggio di speranza finale rallegra l’animo dello spettatore, strappando un sorriso e inducendo alla riflessione.
Valeria Vite