Le “Teste parlanti” di Alberto Fratini
La pratica magica delle teste parlanti o teste oracolari che predicono il futuro (craniomanzia o cefalomanzia) risale a tempi immemorabili, ed è universalmente diffusa almeno fino all’età moderna. Decade, come molte altre forme di magia, in seguito alla Rivoluzione scientifica, ma ritorni di fiamma non sono da escludere, se non si sono già manifestati. Una preziosa pubblicazione, uscita recentemente, ha il merito di raccogliere tutte le principali fonti storiche, letterarie e iconografiche relative al fenomeno in questione. Si tratta di “Teste Parlanti”di Alberto Fratini (Aseq, Roma 2019, pp. 365, euro 22).
Progenitore, almeno in Occidente, di tutte le teste parlanti è sicuramente la testa di Orfeo. Come è noto il corpo di Orfeo viene fatto a pezzi dalle Baccanti, ma la testa, accompagnata dalla lira, galleggia e continua a cantare facendo commuovere animali e pietre, finché approda all’isola di Lesbo, dove diventa parte essenziale dell’oracolo omonimo, famoso in tutto il mondo antico. Le fonti letterarie sono di età imperiale, ma quelle iconografiche risalgono al V a. C. Questo significa che il mito della testa di Orfeo occultava o addirittura fondava (come ogni mito che si rispetti) una pratica già molto diffusa. Partendo da Orfeo, Alberto Fratini esamina accuratamente tutte le altre innumerevoli testimonianze sparse ai quattro angoli del globo. Oltre ai Greci, la pratica delle teste parlanti non era ignota, infatti, a Egiziani, Celti e Scandinavi, Cristiani, Arabi e Islamici, Ebrei (gli inquietanti Teraphim), Sabei di Harran, senza dimenticare i Cavalieri della Tavola Rotonda. Ma spazio è dedicato anche alla costruzione di teste artificiali, che vede coinvolti personaggi come Alberto Magno, Ruggero Bacone o i Templari. In mezzo a tutti questi episodi una particolare attenzione è dedicata ad Harran, la biblica Caran di Genesi 11, la città del dio Luna. Nonostante lavori ormai classici come quelli di Chwolsohn, gli studi di Tardieu, Hjarpe. Tamara Green e altri, sui misteriosi abitanti di questa città, i sedicenti Sabei, non è ancora stata fatta soverchia chiarezza. Questo vale in particolare per i culti e le operazioni magiche ivi praticate, e quindi anche per le numerose testimonianze relative alla costruzione di teste parlanti, di cui Harran sarebbe stato un centro privilegiato. Le più note in proposito vengono da Picatrix, il famigerato manuale arabo di magia operativa diffuso anche in età rinascimentale. Il modo in cui secondo Picatrix i Sabei di Harran si rifornivano di teste parlanti è abbastanza orripilante. La sventurata vittima veniva infatti completamente immersa nell’olio ad eccezione della testa. Dopo un certo tempo la totale macerazione del corpo permetteva il facile distacco della testa, che a quel punto era pronta per rispondere a tutte le domande sul futuro che le facevano i Sabei. Non meno misteriosi dei Sabei, anche i Caldei erano collegati nel mondo antico a pratiche che avevano la testa per oggetto. Come ricorda Fratini, Michele Psello attribuisce a Giuliano il Teurgo, autore degli Oracoli dei Caldei, la costruzione di una testa di argilla che emetteva fulmini contro i barbari durante la campagna di Dacia (si tratta di una versione del «miracolo della pioggia» rappresentato anche nella Colonna di Marco Aurelio). Tuttavia una testimonianza di Proclo sugli stessi Oracoli caldaici parla anche di corpi completamente sepolti ad eccezione della testa. Morte rituale o effettiva costruzione di una testa parlante? Difficile rispondere. Ma Fratini sta scrivendo un nuovo libro su argomenti simili, e può darsi che faccia luce anche su questo punto.
Luciano Albanese