Guayabas, il frutto colombiano per eccellenza si fa parola
“Guayabas – Voci femminili dalla Colombia” (Castelvecchi, pp. 132, pagine, euro 16.00) raccoglie sedici racconti di autrici colombiane, grazie all’iniziativa congiunta dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e dell’Istituto Cervantes di Napoli, all’impegno di Castelvecchi e a quello di sedici traduttrici, una per ogni storia.
La guayaba, frutto di genere femminile, è considerato tra i più nutritivi, ricchi e profumati tra quelli esistenti, nonché il più rappresentativo degli oltre quattrocento frutti di cui si ha conoscenza in Colombia. Niente di meglio per raccogliere sotto un’unica immagine queste sedici storie, queste sedici autrici più o meno emergenti. E non ci sono aggettivi migliori per descrivere i racconti che ci regalano: sono proprio così, ricchi, profumati e nutritivi, nella loro semplicità. Finire un amore e dividersi tutto, anche i posti in cui si vissuto quell’amore e ci si è in qualche modo plasmati.
“…ma nella spartizione dei beni immateriali a lui toccò Bogotà. (…) Non poter tornare all’amore è come non poter tornare alla città in cui siamo diventati quello che siamo. Il disamore è la peggior forma di espropriazione, il disamore è un tipo di esilio”.
La fine di un amore come separazione che gli altri si aspettano che possiamo spiegare, ma che facciamo fatica a capire noi per primi.
“Credo che quando uno si separa, suppone che l’altro non sappia vivere senza di lui. Presumo che uno abbia bisogno di credere in questo; alla fine ci hanno insegnato che l’amore è una mutua necessità, sicché se non abbiamo bisogno dell’altro allora non ci si ama, non ci si è amati…”.
Amore e religione come conflitto quando il credo non è lo stesso, in un assurdo controsenso.
“Io imparai l’ebraico e l’inglese, Felipe sicuramente il francese e l’inglese, e non potemmo più comunicare. Le lettere mi vennero sempre rimandate indietro per indirizzo errato”.
Vivere in Colombia tra villaggi e città al tempo delle FARC.
Lasciarsi prendere dalle proprie ossessioni, anche per le piccole cose quotidiane, fino a perdercisi.
La miopia e il modo in cui ti fa (non) vedere il mondo.
Scontri e vendette tra famiglie.
La solitudine.
La maternità, voluta o no, e le dinamiche che implica, con gli altri e con noi, il nostro corpo.
La sessualità.
Il viaggio, e le sensazioni che suscita, di smarrimento, ma anche di perfetto centramento di sé rispetto a ciò che ci circonda.
La nostalgia del diventare grandi che ci fa perdere certi vezzi e abitudini per costruirne altri che ci servono a placare quel senso di mancanza.
Gli ultimi istanti di una vita brutalmente interrotta, delicatamente descritti.
La passione, quella univoca, e gli abbagli amorosi.
L’abitudine e l’istinto di sopravvivenza a cui ci aggrappiamo sempre, soprattutto in situazioni che vanno oltre il nostro controllo e la nostra comprensione.
Temi semplici, comuni, volti all’esplorazione dell’individuo. La maggior parte attraversati da un velo di malinconia, quella della perdita e del disincanto. Racconti che spesso sanno di poesia, per il taglio che hanno e le suggestioni che creano.
E racconti che hanno il grande merito di farci conoscere una Colombia, narrativa ma non solo, diversa da quella a cui ci hanno abituati Marquez e certe serie on-demand. Insomma, tra i due estremi c’è un mondo da esplorare e queste sedici autrici ce ne regalano una bella fetta.
Cepeda Samudio diceva che “la letteratura non è altro che la storia del mondo ben raccontata”.
Ecco, questi racconti sono letteratura.
Laura Franchi