“Penelope alla peste” di Veronica Passeri, le donne raccontano la pandemia
“Penelope alla peste, la pandemia raccontata dalle donne” (Castelvecchi, 2020, p.112, euro 6,99) di Veronica Passeri è una raccolta di racconti ispirati a delle interviste in cui delle donne rivelano come hanno vissuto la pandemia del Coronavirus. Lo scenario è ben conosciuto dal lettore poiché ogni italiano lo ha vissuto in prima persona: si tratta dei mesi di lockdown. Le protagoniste sono donne, personaggi eterogenei tra loro e complessi: bambine, anziane, donne in carriera che tradiscono il marito con il collega, suore, ragazze affette dalla sindrome di down, senzatetto, operatrici sanitarie, psicologhe, attiviste femministe dei consultori antiviolenza e molti altri personaggi.
Ciò che colpisce di questi racconti è la necessità di documentare e raccontare la pandemia prima ancora che l’evento si sia concluso. Il lettore infatti conosce i fatti narrati, li ha vissuti sulla sua pelle e le emozioni che ha provato sono ancora fresche. Il valore dell’opera consiste nell’affermare il relativismo di ciascuna esperienza: ognuno di noi ha vissuto il lockdown in modo diverso, la sua testimonianza è unica e irripetibile e il telegiornale non è in grado di raccontare le emozioni perchè solo l’arte può farci respirare nei panni di un’altra persona. Sappiamo tutti per esempio della donna che ha lanciato l’allarme pubblicando un video, tuttavia leggendo il racconto possiamo conoscere ciò che ha provato: “Barbara è la giovane donna con la frangetta bionda e gli occhiali neri che il 4 marzo, con un tono dichiaratamente non empatico, fa il “cazziatone” agli italiani. «Bisogna stare a casa. C’è troppa gente in giro. A volte cercare di essere empatici non rende l’idea: non ci sono i posti nelle rianimazioni, non ci sono abbastanza respiratori. Se continuate a stare assembrati nei bar, nelle discoteche, se continuate a fare la vostra vita come sempre, aumenterete il numero di contagi». Il video postato su Facebook diventa virale, lo vedono tutti, alcuni commentano con aria di sufficienza, altri criticano, in pochi sono disposti a prendere atto di quello che sta accadendo.”
Per quanto riguarda alcune donne il lettore si sente molto vicino a loro, poiché hanno una vita quotidiana ordinaria. Coloro che hanno figli conoscono bene ciò che hanno passato i più piccoli, così come è facile immaginare come hanno affrontato il 2020 gli adolescenti, i ventenni e gli anziani. “Irene fa la prima elementare e da una settimana esatta ha smesso di andare a scuola. Da allora la casa dei nonni è diventata di là. All’inizio, quando la mamma le ha spiegato quello che stava succedendo, non ha fatto troppe domande. Le due sorelle più grandi le hanno strizzato l’occhio per confortarla, la piccola di casa non ha capito niente e ha continuato a fare esercizi di vocalizzazione.” Risultano invece più singolari le storie dei ragazzi down, dei senzatetto e delle suore, forse perché non tutti hanno l’opportunità di frequentare persone simili: “Ma poi è arrivato il “bacillo”. Non fosse stato per il “bacillo” e per Sara Bruno sarebbe ancora fuori, a giro di giorno e sotto quel portico la notte. Ma il “bacillo” si è poppato a poco a poco tutta la libertà, tutta la sua “piazza Grande”. Non solo. Si è portato dietro una paura nuova e un ordine impossibile da seguire: «Devi stare a casa». Il primo giorno gliel’ha detto un agente della polizia municipale. Bruno lo conosce, lo ha visto spesso passare nelle zone che frequenta”. Bruno il senzatetto è l’unico uomo protagonista, ma la sua storia è stata raccontata da una volontaria che lo conosceva.
Il lettore si chiede poi perché Veronica Passeri abbia scelto di raccontare solo storie di donne. Forse durante il lockdown abbiamo tutti atteso pazientemente di ritornare liberi così come una donna, Penelope, ha tessuto la sua tela, confidando nel ritorno di Ulisse. Le donne, inoltre, hanno avuto un maggiore carico di responsabilità poiché hanno dovuto gestire il lavoro e la famiglia in pochi metri quadri a disposizione, talvolta in un contesto di violenza domestica. Possiamo solo immaginare le ragioni di Veronica Passeri, tuttavia ciò non sminuisce il valore dell’opera. I racconti sono agili e non particolarmente impegnativi, ma ci insegnano che ciascuno di noi ha vissuto la pandemia in modo differente. Lo stile è semplice e scorrevole, al piacere della narrazione si unisce inoltre l’opportunità di approfondire un periodo storico non ancora concluso, che Veronica Passeri ha saputo raccontare egregiamente.
Valeria Vite