G. I. Gurdjieff, l’uomo che non ebbe paura di aprire gli occhi
“G. I. Gurdjieff e le sue origini” (Tlon, pag. 114, euro 12) di Alessandro Boella e Antonella Galli è un libro necessario come la pretesa di risposte a domande che naturalmente sgorgano a chi giustamente se le pone. Sì, ma chi?
La prima pagina, come la buona letteratura comanda, spinge a passare alla seconda, e poi all’altra, per l’accesa curiosità che scintilla in ogni parola. «… il web illude…» e questo già basterebbe a spingere il lettore ad avanzare in questo viaggio, un po’ sacro e un po’ profano, di cui il lettore o l’internauta hanno bisogno. E ancora, anche se non è mai abbastanza, vista la criticità morale, spirituale, intellettuale del momento storico, «Non è dall’incontro di più forme di ignoranza, o dalla comparazione delle diverse ignoranze, che possono scaturire saggezza e conoscenza.». Se un individuo ha la conoscenza deve mostrarsi generoso nel donarla agli altri. Diciamo che mettersi in cattedra per far sentire l’inconsapevole ignorante di turno inferiore fa decadere all’istante il senso stesso del sapere. Sapere solo per essere solo non è il vero sapere. Diceva Gurdjieff dall’alto della sua profonda introspezione coraggiosa che “è essenziale comprendere che gli sforzi indipendenti di un uomo per raggiungere qualcosa in questa direzione non possono, da soli, dare alcun risultato. Un uomo può raggiungere la conoscenza soltanto con l’aiuto di coloro che la posseggono. Questo deve essere compreso fin dall’inizio. Bisogna imparare da coloro che sanno“. Secondo l’egittologo René Schwaller de Lubicz bisogna prestare attenzione alla differenza fra “la conoscenza razionale, che esige l’analisi e serve la dialettica” e “la conoscenza funzionale, sintetica e a carattere categorico“. Per Gurdjieff, maestro di chiaroveggenza, spiritismo, telepatia, ritmi, vibrazioni, matematica, e molto altro, necessario era il distacco dalle difficoltà terrene. Così come l’alto grado di sacrificio per ottenere un alto grado di consapevolezza interiore. Le potenzialità degli esseri umani non devono restare latenti, devono fuoriuscire da quel sonno a occhi aperti in cui l’uomo non si rende conto di vivere. E per spalancare i suoi occhi e quelli dei suoi seguaci, Gurdjieff rappresentò spettacoli di danze orientali. Meravigliose le sue immersioni nelle danze dei dervisci rotanti, animato da un’indomita forza, credeva che la danza e la musica fossero in grado di indurre una fase estatica negli individui di amore universale. Interessante la domanda che gli rivolse Ouspensky: “Perché la conoscenza è tenuta così accuratamente segreta?“. La risposta di Gurdjieff fu dura ma fedele al suo pensiero: “… il guaio è che la gente o non la vuole o non la può ricevere… ma la conoscenza non può appartenere a tutti e non può neppure appartenere a molti“. In genere l’uomo sceglie strade facili, evitando salite e fatiche, non mettendo mai a repentaglio le sue certezze, ecco perché non tutti possono fare tutto.
L’insegnamento fondamentale di Gurdjieff è che la vita umana è ordinariamente vissuta in uno stato di veglia apparente prossimo al sogno; e per trascendere lo stato di sonno elaborò uno specifico metodo per ottenere un livello superiore di vitalità, per giungere al ricordo di sé. Le sue tecniche non sono affidate a libri e vengono ancor oggi impartite da discepoli qualificati della sua Scuola.Il mistico dai grandi baffi una verità però la sentenziò al mondo “la vita è reale solo quando Io Sono”.
Veronica Meddi