Eva Baltasar e “Boulder”, il suo libro vivo e spietato
“Parlo di donne senza contarmi tra di loro. Non sono una donna. Sono il cuoco di una vecchia nave mercantile che affila con cura i coltelli”.
Eva Baltasar scrive “Boulder” (nottetempo, 2020, pp. 116, euro 15), una storia lacerante, che si insinua dentro, straziando le budella violentemente, per poi improvvisamente fermarsi a lasciar riprendere fiato.
È il racconto di una vita – che poi diventano due e ancora tre per poi ritornare a essere una – immersa nell’acqua come una roccia, come un boulder appunto, isolato, ermetico e solo; ma che non ha paura di scontrarsi con la violenza del vento, delle onde e della vita: come la protagonista del racconto, Boulder, cuoca su navi mercantili, solitaria e persa nel mondo, dopo aver abbandonato tutto.
“Dovevo affrontare il vuoto, l’avevo sognato fino a convertirlo in un albero di maestra, nel centro d’equilibrio a cui afferrarmi quando attorno a me la vita franava. Intossicata, provenivo dal nulla e anelavo territori ululati”.
Finché incontra Samsa. E da questo momento la sua esistenza cambia, comincia la costruzione di una struttura salda, una casa e una perfezione che Boulder non accetta. Una maternità che le mostra i cambiamenti delle abitudini, delle sensazioni e della mancanza di libertà.
Eva Baltasar scrive parole intense e profonde, che Amaranta Sbardella traduce in modo preciso e armonico e che restano impigliate alle origini, lì dove l’anima si svincola per fuggire. Ed è proprio nel linguaggio che riconosce le nostre radici e quelle di tutti i popoli.
“Il linguaggio è e sarà sempre un territorio occupato. Ho l’impressione di esservi legata sin dal giorno della mia nascita. Solo il linguaggio può fare in modo che tu appartenga a un luogo, che non ti perda”.
Marianna Zito