“Cuori in piena”, tra quasi e realtà
“Cuori in piena” (Mondadori, pp. 330, euro 20) è il nuovo romanzo di Alessio Torino, insegnante di Letteratura latina e non nuovo ai premi letterari.
“Perché, anche se non eravamo più bambini, ci eravamo appena casualmente tenuti la mano in questo mondo dove la paura è così grande che a scendere, scendere e scendere, non si tocca mai il fondale.”
Corsi è venuto a passare l’estate dalla nonna a Pieve Lanterna, un borgo dell’Appennino umbro-marchigiano. Prima di tornare a Roma, il padre, che lo ha accompagnato, gli chiede di giurare che non si tufferà alle Caldare, dove l’anno prima è morto Andrea, il figlio di Arcangelo Gori. Ma è proprio lungo il corso del Burano che si snoda e concentra tutta l’estate degli adolescenti di Pieve Lanterna.
Corsi e i suoi amici saranno messi di fronte anche a una nuova tragedia: il cane Asha è stato avvelenato con la metaldeide. Si dice che il colpevole sia quello stesso Arcangelo Gori, diventato solitario e imprevedibile dopo la morte del figlio.
In un contrasto tra adulto/bambino, a cui fa da cornice la vita di paese con i suoi pro e i suoi contro, Torino ci racconta l’avvicinarsi all’età adulta, prima solo sfiorandola e non sempre potendola capire. In un percorso in cui, tuttavia, si ha la fortuna di tenere e tenersi per mano con quegli amici che nella vita restano capisaldi. Anche se devi spiegare perché a Roma si chiama “papà” e non “babbo”, anche se la “spianata” non è la “pizza bianca”.
Si parte da una promessa che Corsi figlio, 12 anni, fa a Corsi padre, ma di cui non coglie il valore intrinseco perché è ancora troppo presto per essere del tutto consapevole del ruolo di figlio, e del tutto capace di capire il ruolo di un genitore, il terrore di non saper proteggere chi hai messo al mondo.
“Nei miei sogni a occhi aperti, immagino di avvicinarmi, raccogliere la bottiglia e spaccargliela in testa. Nei sogni prendo la trota a due mani e la ributto in acqua. La trota scodinzola via. Nel Sistema Solare della Realtà gli rispondo sì, certo.”
E in questo avviarsi verso il mondo degli adulti, appare forte la contrapposizione tra il “Sistema Solare del Quasi” e il “Sistema Solare della Realtà”, il divario adulto/bambino, quell’avvicinarsi così difficile al mondo dei grandi che, a volte, così grandi non sono.
A dodici anni hai la percezione, se non la contezza, di cosa è giusto e cosa no. Conosci la sensazione di “sbagliato”, ma mancano ancora o non sono completi gli strumenti per agire e opporsi quando ci si trova davanti a quel “sbagliato”.
Resta imperante e imperativo l’esempio che viene dai genitori e che si trasmette nelle frasi, nei gesti. O, a volte, è la voce del paese a parlare per noi.
“Non sei più un bambino, ma hai ancora la stessa paura.”
Una paura che è anche quella di trovarsi davanti a cose e fatti, di doverli accettare per quel che sono senza che nessuno ci protegga. E questo vale per tutto. Per gli attriti, umiliazioni che dai padri passano ai figli e intossicano le relazioni. Per quel razzismo, il cui “nocciolo duro proteggeva sempre e comunque tutti quanti noi che non ci chiamavamo né Bogdan né Brat”. Per il primo amore, le prime emozioni anche fisiche, la prima amarezza. Un miscuglio che ancora deve definirsi tra le giostre e i giri in bici con gli amici, un anello da comprare e i primi approcci al sesso.
“Lei aveva continuato a guardarmi, come in attesa. All’improvviso il tempo cambiò la sua unità di misura. Sì, perché quei cinque, sei secondi erano diventati una lunga, lunghissima galleria temporale in fondo alla quale lei aveva deciso di aspettarmi. Il suo sguardo era fisso non solo su di me, ma dentro di me, e non demordeva.”
Che avviarsi sulla strada dei grandi è anche questo, impossibile dunque non raccontarne.
“Il fruscio delle buste della spesa appoggiate sulla fibra di cocco dello zerbino, poi la breve musica del mazzo di chiavi.”
Con un linguaggio pulito e lineare, Torino ci porta dentro le cose, ci fa immergere nelle situazioni, rendendole estremamente familiari e associabili al nostro zerbino, al nostro mazzo di chiavi. Lascia addosso una sensazione di buono.
Un sapore antico di paese, con i “calcinculo” delle giostre, i tuffi nell’acqua gelata, certe feste dove si balla il liscio, le case dei nonni con le finestre indurite e le grandi scosse dei vetri per aprirle.
“Per fortificare il cuore non basterebbero nemmeno pietre come queste del ponte romano. Dovrebbe essere il cuore stesso, pietra.”
Che poi forse troppo adulti non si diventa mai.
Laura Franchi