“Cicatrici” – La mente lucida e sanguigna di Saer
Juan José Saer ci narra, a ritmo scandito e veloce – come i passi dei suoi personaggi in calle San Martín, forse a Santa Fe – quattro vite, quattro uomini apparentemente lontani tra di loro, con vissuti e mestieri differenti, ma che vorticano intorno a un punto che – per scelta o per caso – li accomuna: la morte di una donna.
Con “Cicatrici” (La Nuova Frontiera 2019, pp. 300, euro 17,50), Saer si affaccia con lo sguardo nella mente, analizzando e descrivendo la parte profonda e più oscura dell’uomo, senza mai giudicarla ma ponendola semplicemente lì nuda, tra le pagine di un foglio bianco, in modo che si riconosca, forse per risanarla in qualche modo o, semplicemente, per conviverci. Ci pone davanti ai limiti, davanti ai vizi e alla solitudine che ne deriva o che vi si accovaccia per trarne sollievo, e respirare. L’incastro delle situazioni raggiunge un acume alto, così inimmaginabile da stupirci nella sua perfezione, così come il tempo scandito che – a ogni passo e a ogni personaggio – si riduce, restringendosi. Comincia Ángel Leto – che ritroviamo in compagnia di Tomatis anche in “Glossa”, grazie ai legami intrinsechi dei libri di Saer – un meteorologo diciottenne infastidito dallo “strano chiarore” di un freddo febbraio, alle prese con la bellezza ancora giovane di sua madre e con le sue abitudini notturne , le liti a suon di gin e le lunghe camminate, un isolato dopo l’altro – “mi feci circa trenta isolati a piedi” – passo dopo passo; fino a lunghe conversazioni notturne letterarie, filosofiche e argomentative tra amici per un giorno intero e fino a notte, fino allo scontro col proprio doppio. I pensieri sono cadenzati in un ritmo a cui facilmente ci affezioniamo, ma che cambia con l’arrivo di Sergio Escalante, un avvocato col vizio del gioco, “l’unica prospetiva possibile”. Ed è il caos. I pensieri corrono ossessivi sul tavolo da gioco tra punto e banco, per trovare un arresto solo alla vista della giovane Delicia e del mate delle cinque. Il quarto uomo è un giudice, Ernesto Lopez Garay, impegnato nell’eterna traduzione di un libro di Wilde, aggrovigliato nei suoi pensieri, che accoltellano una sempre più dirompente omosessualità, sopita tra le strade fosche, abitate da gente anonima con le sembianze di gorilla. L’ultima voce è il motore di tutto, quella che, in un modo o in un altro, cambia la vita degli altri personaggi, la sconvolge e, per un attimo, la ferma. Un operaio di 39 anni, Luis Fiore che, il primo giorno di un maggio qualunque, uccide sua moglie con due colpi di fucile.
“Cicatrici”, pubblicato per la prima volta nel 1969, nasce dalla fotografia vera di un assassinio; Saer lo scrisse in venti notti. La traduzione di Gina Maneri ci permette di leggere questo capolavoro della letteratura ispano-americana, che ha sullo sfondo le cicatrici lasciate dalla sconfitta del peronismo e le cicatrici richiuse su quei tagli dell’animo che a volte ci salvano a volte si infettano, senza via di scampo.
Marianna Zito