“Beginning” alla Sala Umberto di Roma
Come ci si innamora dopo i 30/40 anni? Come ci si innamora se non hai il radar? Come ci si innamora in un tempo fatto di usa e getta e superficie?
Ha debuttato il 6 dicembre, alla Sala Umberto di Roma, dove resterà in scena fino al 31 dicembre, “Beginning” con Francesca Inaudi e Giovanni Scifoni, per la regia di Simone Toni, e dal testo del britannico David Eldridge tradotto da Marco Maria Casazza. E dunque, come si innamora? Come inizia il tutto?
La scena è quella di una festa ormai finita a casa di Laura: Amministratore Delegato di un’azienda, single, il lavoro, la palestra la mattina alle sette, le passeggiate al parco la domenica. Daniele è l’ultimo rimasto degli ospiti: divorziato, vede poco e niente la figlia, è tornato a vivere con la mamma e con la nonna, quella che su Facebook mette post discutibili.
Daniele vorrebbe andare, dice di voler chiamare un taxi, ma forse non gli va davvero. Laura vuole che resti perché Laura è quella che le amiche invidiano per il tempo libero, i viaggi, le feste. Ma Laura è altro: che male c’è a volere una famiglia? Una casa fuori città? Andare al parco, ma coi bambini? Una taglia 46? E basta palestra, basta tutto questo lavoro. Basta. Basta solitudine. Daniele è attratto e perplesso allo stesso tempo: come può una donna come Laura avere interesse per lui? Ma soprattutto lui è davvero pronto ad avere interesse per un’altra? A rischiare di incappare in un altro fallimento? Fare un altro figlio e poi non vederlo? Inizia una sorta di danza tra i due che, con un ritmo narrativo che diventa a mano a mano più vivace, si incontrano/scontrano, cercano punti in comune, evidenziano quelli di distanza e devono decidere se buttarsi o no, incapaci di farsi promesse e fare previsioni. Sono dialoghi tragici-comici, la tristezza vista da fuori è capace anche di farci sorridere, amaramente. Sono l’amore e il sesso “maturi” a essere portati sul palco, quelli che non hanno più la spontaneità della prima giovinezza. L’impulso è lo stesso, ma ci si studia, si tracciano confini e dettano regole ancora prima di spogliarsi, perché siamo già autodefiniti, perché abbiamo un passato che sarà anche passato, ma è nel presente che tira fuori il conto. E ci vuole coraggio a spogliarsi, dei vestiti e non solo, perché in quel passato ci sono le nostre cicatrici, ci siamo noi, autodefiniti sì, ma anche un po’ annoiati di noi in quella eterna versione. E poi c’è quella parola lì, quella cosa lì che sa spaventare: la solitudine. Qual è il livello che possiamo accettare? E oltre quel limite, su cosa siamo disposti a cedere per non sprofondare?
Attori e regista ci mettono davanti agli occhi temi che bruciano, ed è ben calibrata l’alternanza di riflessione e scherzo. Vediamo due bravi attori su quel palco, e vediamo anche noi che vogliamo un rischio calcolato, ma anche la felicità, ma anche la libertà, ma anche la follia, ma anche l’equilibrio. Va in scena l’umano.
Laura Franchi