“La donna che amava gli insetti”: Selja Ahava racconta il viaggio di Anna
“Io cerco indizi della mia essenza, della meta del mio viaggio.”
“La donna che amava gli insetti”, scritto da Selja Ahava, pubblicato da Elliot Edizioni (2022, Collana Scatti, pp. 240, euro 18) e tradotto da Irene Sorrentino ed Elena Entradi, candidato al prestigioso Runeberg Prize, vincitore del Premio Kiitos Kirijasta – mitali, è il viaggio di una donna alla ricerca del suo scopo nel mondo.
Ispiratosi a Maria Sibylla Merian, un’artista, un’entomologa, un’esploratrice, nata nel 1647, in un’epoca che vedeva le donne emarginate dalla vita sociale e dalla ricerca scientifica. Maria Sibylla seppe, grazie al suo grande spirito innovativo e indipendente, farsi strada in ambiti che, all’epoca, erano esclusivamente maschili. La sua opera non ebbe il riconoscimento meritato, mentre fu molto apprezzato dal punto di vista artistico, probabilmente a causa di un mero pregiudizio di genere. La sua eredità fu immensa per le informazioni contenute nelle sue tavole entomologiche e per le sue illustrazioni naturalistiche, nonché per la sua visione ecologica della natura.
Il libro di Selja Ahava ci racconta la storia di tante donne in una. È la storia di una crescita e di una evoluzione, di un viaggio attraverso la ricerca di consapevolezza che parte dalla storia unica della protagonista e, parallelamente, ci conduce attraverso i secoli che hanno visto il cambiamento del ruolo delle donne nella società nelle diverse epoche. Il linguaggio è sdoppiato, come la protagonista, sa essere appassionato quanto pragmatico, ma sempre coinvolgente, riuscendo a rappresentare il dramma di un divario, quello tra lo spirito ardente di una mente avida di libertà e conoscenza e la cultura di restrizioni dell’epoca in cui vive.
L’autrice descrive lo sdoppiamento di questa donna dalla scienziata. La mente dal corpo. La volontà propria dal dovere. Attraverso la scrittura Selja Ahava è capace di rappresentare due distinti stati d’animo della protagonista: quando studia e disegna i suoi insetti è felice, in corsivo; quando si deve relazionare con i suoi familiari e contemporanei, senza formato. Osserviamo nettamente quanto nel primo caso il suo intuito sia lucido e sicuro e quanto, quando racconta del suo quotidiano, il suo spirito venga appesantito dal giudizio dei suoi contemporanei.
Anna, se da un lato ha l’approccio razionale degli illuministi più tardivi come Rousseax, che durante le sue passeggiate catalogò più piante possibili, nel perfetto spirito dei Philosophes, si dissocia da essi alla ricerca soprattutto di un contatto con la semplicità della sua origine naturalista. Dall’altro perde completamente l’orientamento di fronte alle restrizioni e allo svilimento imposto dalla sua condizione di donna. Nello studio ritrova il controllo della sua vita, ed è così che Anna cerca di capire il comportamento, le abitudini, e preferenze dei suoi amati insetti, e attraverso questo percorso di scoperta scopre se stessa. La sua è anche la ricerca estenuante di un posto in un’epoca che non la vuole e non la capisce.
Così, il corsivo rappresenta il momento estatico dello studio, la sua passione, il momento in cui è se stessa e finalmente vive, per poi tornare alla scrittura normale, quella dove fa un grandissimo passo indietro e viene tirata giù, smette di volare alto e ritrova il marito ottuso, gli occhi giudicanti del suo paese, lo schermo dei bambini e le critiche di chi non può capire quanto avanti nel futuro andrà questa donna. Ed è nel futuro che la ritroveremo. I viaggi, gli studi, le esperienze e le opere della protagonista finiscono con intrecciarsi con quelli di tutte quelle donne, che hanno contribuito al cambiamento. Alcune verranno ricordate, altre moriranno nel tentativo.
È il racconto di un’epoca in cui il confine tra scienza e stregoneria è sottile. Anna nasce in un periodo in cui una donna con conoscenze fa paura e non può che essere pericolosa. È dunque questo il racconto della caparbietà con cui ella si vuole opporre alla mentalità retrograda del suo tempo e del suo stato, ma è anche il racconto di un’evoluzione molto più grande. Ovvero il percorso che storicamente tutte le donne hanno fatto col passare dei secoli e gli obiettivi finora raggiunti grazie a quella caparbietà. Grazie a chi ha creduto, nonostante i sacrifici e nonostante i roghi, ai propri diritti e al proprio peso specifico nella società. Anna osserva gli animali più piccoli e si rattrista perché vorrebbe essere osservata e capita nello stesso modo. Lei che, apparentemente è schiacciata e senza forze per opporsi al suo destino, si trasformerà come le larve che studia, in crisalide e poi in farfalla. La sua feroce voglia di vivere la porta quasi fino alla morte. Nel momento in cui non accetta il suo destino, non accetta il modo in cui il mondo e il marito l’avrebbero sacrificata pur di mantenere in vita il figlio. In quel momento per la società lei è solo un contenitore. Non è il marito il protagonista degli abusi subiti, è il risultato dell’ottusità patriarcale. La protagonista si deve salvare da sola. La sua voglia di vivere la porta all’infanticidio nel momento in cui deve scegliere tra il salvarsi la vita o il dare la vita. Un sacrificio dato per scontato da secoli, poiché prima che una donna lei deve essere madre. Si oppone a tutto questo e rischiando la vita, se la salva.
Il suo obiettivo finale non è la farfalla. Non una vita breve di esteriorità, ma quello che accade durante la trasformazione, tutto ciò che le è impossibile vedere senza uccidere l’insetto. Il mistero di ciò che succede dentro l’involucro.
Federica Scardino