“Atto di violenza”: una lotta comune per la libertà comune
“Atto di violenza” (Paginaotto, pp. 277, euro 19)è un romanzo di Manuel De Pedrolo, autore fino ad oggi mai tradotto in italiano, poco conosciuto anche in Spagna, e invece punto di riferimento letterario in Catalogna. È un autore piuttosto prolifico, ma che deve fare i conti con l’epoca in cui vive e scrive, quella del franchismo: marxista e catalano, la sua opera è spesso soggetta a censura. Lo stesso “Atto di violenza” è scritto tra il 1960 e il 1961.
Quiete apparente
Le strade sono vuote, le scuole chiuse, le fabbriche deserte. In giro, poche auto e molta polizia. I negozi aperti si contano sulle dita di una mano. Porte e finestre delle case sono ben chiuse. Fuori tutto sembra sospeso, silenzioso, immobile. Eppure, la calma circostante è solo apparente. Dentro le case, le fabbriche, gli alimentari, nei vicoli tra le baracche, dentro i bar e i teatri c’è vita, ce n’è più che negli ultimi quindici anni, e si parla, si discute, si ragiona. E una scritta compare ovunque: sui volantini e su fogli di carta, sulle mattonelle, sui muri e su pezzi di stoffa: “È MOLTO SEMPLICE. RESTATE A CASA”.
“È incredibile che, dopo tanti anni, si sia riusciti a cristallizzare tutto un modo di pensare con una semplice frase…Cinque o sei partiti clandestini hanno tentato e ritentato di stimolare la popolazione con azioni più o meno dirette, ma non ha mai funzionato. Adesso, invece, qualcuno ha trovato uno slogan che è piaciuto, si è diffuso col passaparola, ed ecco il risultato: tutti obbediscono. (…) Non canto vittoria (…) Ma constato un fatto: per la prima volta, praticamente tutta la popolazione si è messa d’accordo per seguire una determinata linea di condotta. Adesso ci vuole una cosa sola: che non mollino.”
Dopo 15 anni di dittatura di Domina, il Giudice dall’evocativo nome, cambia qualcosa, scatta qualcosa. E tutti, dai cittadini comuni, agli intellettuali, gli operai, ai soldati che disertano, mettono in atto una resistenza passiva. Ci si chiude in casa, non si esce, non si va al lavoro. Non mancano i crumiri, non manca chi reste fedele alla causa. Ma la maggioranza ha detto “basta” e basta sia.
Ed eccola allora, una quiete viva, animata, in cui tutti parlano della stessa cosa, ci si confronta e confessa a cuore aperto, ammettendo i dubbi, gli errori per le scelte fatte, per l’inerzia che ha trascinato le cose fino a qui. Una quiete in cui è importante non mollare, anche se le porte vengono buttate giù dalla polizia, anche se il cibo scarseggia. Ma è ancora più importante restare solidali e non praticare atti di forza a casaccio che possono favore il singolo nell’immediato, ma danneggiare chi come noi sta lottando. È una carrellata di personaggi quella che si muove tra le pagine, solo apparentemente slegati, ma in realtà uniti da rapporti di amicizia, amore, parentela, quasi a voler ribadire che la causa è comune.
Un atto di violenza verso la libertà
Domina è il tiranno finalmente messo all’angolo, indebolito, tradito da quelli di cui si fidava. Ma lui per primo ha tradito quelle aspirazioni che avevano creato consenso e sempre più spesso sostituite da terrore, paura, dalla soppressione di ogni libertà. Domina che dà ordini fino alla fine, anche se sa che nessuno li eseguirà, solo per mantenere l’idea di potere e controllo. E se la protesta civile di massa serve a esautorarlo, occorre tuttavia un atto di violenza finale per spazzare via la sua dittatura, senza alcuna ombra di dubbio, di ritorno. Questa dittatura, ma le prossime?
De Pedrolo ci parla dell’importanza di costruire una coscienza comune solida, anche attraverso la scrittura, l’arte. Cosa che lui per primo fa, nonostante la censura che subisce. Una coscienza comune si crea quando ci si guarda in faccia e si parla, quando si è pronti ad assumersi dei rischi per un bene superiore, il bene superiore: la libertà, di parola, di pensiero, di scrittura, di azione. È un messaggio molto attuale quello di De Pedrolo, anche per la rivalsa dei giovani: sono loro quelli maggiormente feriti, anche a morte, che nei tre giorni di racconto riempiono gli ospedali. Gli adulti hanno fallito, hanno avuto paura di perdere tutto e non hanno fatto niente. De Pedrolo affida a uno dei personaggi un’amara riflessione, anche questa fin troppo attuale: la protesta arriva con 15 anni di ritardo, quando la città è ormai in rovina. E se un cittadino comune non ha gli strumenti per percepire l’evoluzione di una certa situazione, dovrebbero però averli i professionisti della vita pubblica. E invece spesso si reagisce solo quando l’interesse personale è toccato. Ma una volta reagito, che succede dopo?
“Il dramma dei nostri giorni è che non abbiamo nulla con cui sostituire i valori della civiltà che rinneghiamo”.
Ecco dove attecchisce la dittatura, ecco perché. Leggere queste pagine adesso, non può non far pensare a un parallelo con l’attuale pandemia. Ma è una pandemia al contrario quella che De Pedrolo ci racconta e soprattutto, in giorni in cui si vaneggia di dittature sanitarie, è una dittatura vera.
“In fondo gente che vive in queste condizioni avrebbe diritto a tutto. E dovrebbe osare di tutto, anche”
“Per nostra fortuna non sanno di essere loro i più forti”
“Non lo sapevano. Ma adesso devono averlo capito”.
Laura Franchi