“Angels in America” di Tony Kushner torna al Napoli Teatro Festival
“Cominciai a scrivere questo testo – all’epoca pensavo che ne avrei scritto solo una parte – nel 1987, quando avevo trent’anni. L’AIDS era al suo sesto anno di vita, Reagan governava da sette. Era un periodo tremendo e stimolante. Terminai la prima bozza di Millennium Approaches nel 1988 e la prima bozza di Perestroika nel 1990”.
Sarà l’Eureka Theater di San Francisco a commissionare a Kushner la scrittura di “Angels in America – A Gay Fantasia on National Themes”, l’opera che catapulterà il giovane autore sulla scena nazionale e internazionale. Tony Kushner: gay, ebreo e socialista. È una delle figure teatrali più rilevanti dell’ultimo ventennio, lo scrittore omosessuale più acclamato della sua generazione da quando con Angels in America è uscito dall’ombra, diventando così uno degli uomini più schietti e diretti della letteratura americana e, soprattutto in anni in cui il teatro si stava distaccando sempre più da temi attuali, il nostro autore insiste ostinatamente sul ruolo di scrittore come provocatore politico, portando sulla scena – attraverso il mistico e il surreale – personaggi che si scontrano, in modo tanto comico quanto tragico, e riuscendo a mettere il pubblico di fronte a idee di cambiamento e progresso, che riguardano non solo la realtà, ma anche il teatro stesso.
Le opere di Kushner non rimarranno circoscritte agli Stati Uniti, ma faranno il giro del mondo e così abbiamo avuto nuovamente la fortuna di vederlo 20 e 21 giugno, in prima assoluta, al Napoli Teatro Festival, in due giornate di maratona non stop. Sette ore di spettacolo, durante le quali m sono tornate in mente le dolorose ed etremamente forti parole dello scrittore e docente universitario David Román, dal suo saggio AIDS/Angels in America: “È domenica, il primo novembre del 1992, e mi trovo a Los Angeles al Mark Taper Forum per gli spettacoli della maratona di Millenium Approaches e Perestroika, le due opere che compongono Angels in America – A gay Fantasia on National Themes di Tony Kushner. Sono insieme a quattro amici e siamo tutti abbastanza emozionati. Siamo cinque uomini gay di teatro a teatro: Jim è un drammaturgo, Matthew è un regista, Tim è un attore di monologhi, Michael è un cantante e io un professore universitario. Siamo cinque omosessuali che sono riusciti ad arrivare ai trenta e a superarli, un traguardo che teniamo d’occhio, di questi tempi. Stiamo aspettando la maratona di oggi da molto e rappresenta per noi una sorta di avvento, anche se non siamo sicuri di cosa accadrà. Quello che sappiamo è che stiamo per partecipare a qualcosa che durerà un’intera giornata…”. L’emozione è tanta anche per questo ritorno nel 2019, per questo spettacolo tanto reale, che parla di ieri e di oggi, senza cambiamento alcuno, forse solo nei nomi e nei visi, ma le etichette, di cui tanto ci parla l’avvocato Roy Chon restano, e sono proprio quelle a non fare la differenza. Si può chiamare Reagan o si può chiamare con un altro nome: il risultato non cambia.
Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani rimettono in piedi questo straordinario allestimento dopo 12 anni dalla prima italiana, nelle traduzioni di Mario Cervio Gualersi e dello stesso Bruni, con un cast quasi del tutto rinnovato: Angelo Di Genio, Elio De Capitani, Cristina Crippa, Ida Marinelli, Marco De Gaudio, Sara Borsarelli, Alessandro Lussiana, Giusto Cucchiarini, Giulia Viana. Tutti eccezionali, nessuno escluso. Ognuno di loro ha abbracciato il personaggio o i personaggi interpretati rendendoli propri, amandoli a tal punto da renderli veri su quel palcoscenico che si vorrebbe non si chiudesse mai, dove le scene di Carlo Sala cambiano continuamente, si sovrappongono, si creano quasi da sole, con pochi elementi e una grande abilità di incastro: ora sono camere da letto, ora bagno o ristorante, e ancora Antartide, per poi tornare nel Bronx o più volte a Central Park o su un aereo e ancora in Paradiso. Siamo seduti in un teatro ma al tempo stesso ci troviamo ovunque. In America, nel mondo. Vediamo davanti a noi altre vite, ma allo stesso tempo vediamo anche la nostra, perché un pezzo di noi sarà sicuramente in un movimento o in una parola di uno di quei ventuno personaggi che ruotano sul palcoscenico. Sulle tre pareti si susseguono i video di Francesco Frongia che, con i suoni e le musiche di Giuseppe Marzoli, contraddistinguono e differenziano le varie scene, dando quell’effetto cinematografico sufficiente ad allentare la mente davanti alla gravità dei temi trattati, alleggerendoci e sollevandoci dalla drammaticità del testo. I giochi ombra e luce di Nando Frigerio aiutano nella suddivisione delle scene, mentre non mancano gli effetti speciali che non vogliamo svelare.
Dicevamo, quindi, che la struttura resta quella della serie, sei piccoli atti divisi in due parti che permettono alle sette ore di volare e di travolgerci. Sono gli anni ’80 di Reagan, precisamente il 1985, e l’AIDS dilaga come la nuova pestilenza moderna: è la malattia dei tossicodipendenti e degli omosessuali se a prendersela è la gente comune, ma diventa facilmente un cancro al fegato se a beccarsela è un uomo di potere come l’avvocato braccio destro di McCarthy, Roy Marcus Cohn, nonché all’epoca già mentore politico di un giovane e non ancora quarantenne Donald Trump! Ed ecco sul palcoscenico Elio De Capitani, straordinario, “americano” e indissolubile, un perfetto “fucking octopus” dall’inizio alla fine. Cerca il suo pupillo in Joe Pitt, che qui è Giusto Cucchiarini, che interpreta a pennello le frustrazioni di questo avvocato omosessuale alle prese con la psicopatia emotiva di sua moglie Harper, valium dipendente, interpretata da una straordinaria Giulia Viana che, se abbiamo la fortuna di guardarla dalle prime file, ha la follia, lo smarrimento e la rabbia in ogni angolo del volto. Joe incontrerà per caso Louis Irons, ebreo e progressista, un perfetto Marco De Gaudio, nei bagni della Corte d’Appello di Brooklyn, disperato dopo aver scoperto che il suo compagno Prior ha l’AIDS. Prior Walter – il trentaquattresimo Prior Walter dell sua stirpe! – è un superlativo Angelo Di Genio che incarna le mille sfaccettature di questo personaggio sfortunato ma prescelto per diventare il profeta che salverà gli uomini, per ricondurli al cospetto di Dio: sarà un Prior disperato e distrutto dalla malattia e dall’abbandono di Louis e una meravigliosa Drag Queen – con i costumi di Ferdinando Bruni – nel’allucinazione e nel sogno sovrapposti di Harper e Prior, dove la soglia della rivelazione si svela per i due personaggi, dando a entrambi un luce di speranza. Accanto a Prior, l’infermiere e amico o “cherie bichette” Belize, un eccentrico e divertente Alessandro Lussiana, poi c’è il meraviglioso e sensuale Angelo, interpretato da Sara Borsarelli, e ancora la tenace Ida Marinelli nelle vesti di Mamma Pitt e lei, una spaventosa e adorabile Cristina Crippa che diventa una spettrale Ethel Rosenberg, condannata a morte come spia comunista insieme a suo marito Julius, grazie all’intercessione dell’avvocato Cohn.
Un capolavoro, ricco di paure, fragilità e illusioni ma anche di tanta illuminata speranza e di bellezza, inequivocabile, ineguagliabile perché è in grado di dire la verità, di raccontare ciò che siamo anche di fronte a situazioni al limite, davanti alla follia, alla morte e alla malattia. E al cospetto di Dio.
Uno spettacolo che potrebbe cambiarvi la vita, ve lo assicuro. In scena dal 26 ottobre 2019 al Teatro Elfo Puccini di Milano!
Marianna Zito
Foto di Laila Pozzo