IL PAESE DI CHI SE NE VA di Francesca Muoio al Teatro Napoli Festival
“Tutti, tutti dormono sulla collina” – Edgar Lee Masters
“Tu giurami che noi non moriremo mai” – Afterhours
IL PAESE DI CHI SE NE VA di Francesca Muoio è andato in scena in una cornice da sogno, nel cortile delle Carrozze di Palazzo Reale a Napoli per il Napoli Teatro Festival. Posto migliore non poteva essere scelto perché da subito capiamo che quello a cui stiamo assistendo è una favola, un racconto meraviglioso. Una bambina viene accompagnata all’ultima festa del padre, tra ricordi, amori mancati, burattini, un cane fantasma, canzoni lunghe una guerra intera e messaggi come stelle dal cielo. La lingua scelta è il napoletano, la lingua musicale per eccellenza ricca di suoni e sfumature, dove anche le parolacce sono un piacere da ascoltare. Non mancano momenti musicali e i siparietti tra i personaggi, pur raccontando una storia malinconica, strappano sorrisi e applausi.
Caterina la pazza ha con se una torta di compleanno. Questa strana donna dai capelli bianchi e arruffati che parla con i gatti sarà il nostro Virgilio che accompagna la piccola Alice sulla collina. Andiamo avanti e indietro tra passato e presente, tra storie raccontate e invenzioni fantastiche grazie anche alla doppia presenza della protagonista, piccola e fragile ragazzina sul palco, Morena Di Leva di soli dieci anni e grande fuori dalle scena, con la bella presenza di Francesca Muoio, attrice e regista. La piccola grande Alice ci racconta la sua storia e il rapporto con l’amato padre, la consapevolezza di un uomo che sa e che prepara la figlia. Come ogni buon genitore, prova a insegnargli la vita. Tutto è ambientato in un cimitero, un luogo magico, un posto incantato. Tutto può succedere quando meno te lo aspetti, quando per troppa stanchezza decidi di fermarti e prenderti cinque minuti, solo cinque minuti per riposare, lì dove tutti riposano. Qui Alice farà la conoscenza di alcuni personaggi che vivono questo limbo. Ricorda tanto il purgatorio ma potrebbe essere una vita parallela dove continuare le nostre esistenze, dove una coppia di sposi, morti in un incidente stradale, può ancora avere dei figli . Un mondo alternativo dove le speranze non muoiono mai. Sulla scena – al ritmo di tocchi di campana – gli attori si presentano, si mostrano a noi raccontandoci la loro vita e il loro trapasso, le loro motivazioni, le aspirazioni, quelle che conosciamo bene, perché sono anche le nostre. Mi piace pensare a una nostra personalissima antologia di Spoon River.
Il poeta morto suicida, Davide Paciolla anche aiuto regista, la ballerina mancata, mortificata da impresari e falsi amici, la cameriera, il sindaco, il prete, il soldato dalle mani macchiate di sangue che raccoglie cadaveri come pesci morti nel mare, unica voce non napoletana del gruppo, uno dei momenti più toccanti, colpa anche del momento storico che stiamo vivendo. Questi personaggi vivono la loro “vita” legati comunque all’esistenza terrena, tutto quello che accada si proietta come ombra nel loro piccolo mondo sulla collina, le brutture diventano temporali, tuoni e terremoti e le preghiere, i pensieri stelle cadenti. Tra racconti inventati e ricordi mancati, passando per le favole narrate da un padre a una figlia grazie agli splendidi burattini realizzati da Selvaggia Filippini e mossi o, per meglio dire interpretati, dagli attori stessi, i personaggi (Anna Carla Broegg, Marianita Carfora, Cesare D’arco, Valeria Frallicciardi, Enrico Sortino, Luca Trezza, Antonio Perna) accompagneranno la nostra piccola protagonista alla festa finale, il non compleanno del padre. La piccola Alice diventerà finalmente grande acquistando una consapevolezza maggiore, accettando la morte di un genitore.
Antonio Conte