“Ande dimenticate. Cronache di viaggio dalla Serra Peruviana” di Manuel Santoro
“Ande dimenticate. Cronache di viaggio dalla Serra Peruviana” (Alpine Studio, Lecco 2020, pp. 176, euro 16, 80) di Manuel Santoro è il diario di un viaggio lungo gli altopiani della sierra peruviana.
Gli abitanti di questa regione delle Ande, per lo più contadini, campesinos, parlano prevalentemente il quechua, la lingua ufficiale dell’Impero Inca sopravvissuta alla sua distruzione. Per questo e altri aspetti il viaggio di Santoro è un tuffo nel passato, un passato che tuttavia è ancora presente. Si mormora che gli antichissimi sacrifici umani alle divinità delle montagne, importanti elementi di mediazione fra terra e cielo, forse sopravvivono ancora da qualche parte. Si crede che una sorta di vampiri, i pishtacos, aggrediscano i viaggiatori solitari per estrarre grasso e organi. Le povere ma coloratissime case sono fatte di adobe, antichissimi mattoni di argilla, sabbia e paglia essiccata al sole (avvolti in crine di cavallo per evitare un essiccamento eccessivo). Il cibo ha come ingrediente basilare la patata, unita a verdure e carne di maiale. Ma una variante importante è rappresentata dalla cucina della comunità cinese, presente da molto tempo in Perù e perfettamente integrata. Una delle feste principali è quella dei morti, il primo di novembre. A Lima, dove esiste uno dei cimiteri più grandi della terra (150000 tombe), in quel giorno si celebra la Pachamama, e si può assistere all’antichissima danza de las tijeras, la magica “danza delle forbici”, con cui si ristabilisce l’equilibrio tra cielo e terra, spirito e natura. Tuttavia, in questo mondo fuori dal tempo la modernità ha fatto irruzione, e nel modo più violento e più brutale. Negli anni che vanno dal 1981 al 2000 gli altopiani della Sierra furono il teatro della lotta fra l’organizzazione maoista di Sendero Luminoso e i Sinchis, le unità antiguerriglia dei paracadutisti della Polizia nazionale peruviana. Gli attivisti di Sendero Luminoso scelsero la Sierra come naturale base operativa grazie alla sua scarsa accessibilità, tentando, quasi sempre con la forza, di portare i campesinos dalla loro parte. Le unità dei Sinchis, che tra l’altro non parlavano il quechua, avevano difficoltà a distinguere tra i guerriglieri e i loro presunti simpatizzanti, e spesso facevano di ogni erba un fascio. Gli abitanti della Sierra, come accade sempre in tutte le zone di guerriglia, furono presi tra due fuochi, e caddero vittime di entrambe le formazioni militari. Tra il 1981 e il 1989 località come Ayacucho, Chalcos, Uchuraccay, Socos e la Valle dell’Ene furono teatro di stragi e uccisioni da parte dei Sinchis, che raddoppiavano quelle fatte da Sendero Luminoso.
Tutte le località teatro di questi massacri, il cui ricordo è ancora vivo e presente, sono visitate da Manuel Santoro, e le testimonianze dei sopravvissuti sono agghiaccianti nella loro semplicità e nel loro linguaggio disadorno, ma fatto di cose concrete. Gli anni di Sendero Luminoso, che produssero 69000 vittime tra morti e scomparsi, sono in effetti il vero motivo conduttore del libro, e in un certo senso il controcanto della festa dei morti. Tuttavia è proprio dalla festa dei morti, e dal ricordo di una cultura ancestrale ma ancora innervata negli animi, che rinasce per gli abitanti degli altopiani un filo di speranza, e la forza di ricominciare a vivere lontani dalla paura.
Luciano Albanese