Agilulfo al Café Müller: Olesen porta Calvino sul palco

E voi? – Il re era giunto di fronte a un cavaliere dall’armatura tutta bianca; solo una righina nera correva torno torno ai bordi; per il resto era candida, ben tenuta, senza un graffio, ben rifinita in ogni giunto, sormontata sull’elmo da un pennacchio di chissà che razza orientale di gallo, cangiante d’ogni colore dell’iride. […] – Io sono. – la voce giungeva metallica da dentro l’elmo chiuso, come fosse non una gola ma la stessa lamiera dell’armatura a vibrare, e con un lieve rimbombo d’eco, – Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez! […] – E perché non alzate la celata e non mostrate il vostro viso? […]
La voce uscì netta dal barbazzale. – Perché io non esisto, sire.
La scorsa settimana, sabato 13 marzo, al Café Müller è stata la volta di Jacob Olesen, svedese poliglotta figlio di Lecoq e Feldenkrais. Come al solito, lo spettacolo era in diretta su Nice Platform, il cui streaming è ora acquistabile. Olesen ha proposto un recital letterario piacevolissimo, curato e divertente, basandosi su Il cavaliere inesistente di Italo Calvino, che dopo Il visconte dimezzato e Il barone rampante conclude la trilogia de I nostri Antenati. La trama (per chi, inspiegabilmente, non l’avesse letto alle scuole medie) è presto detta: basandosi su una formula letteraria antica, che passa da Boiardo ad Ariosto fino a Tasso, Calvino racconta una versione novecentesca delle epiche vicende del ciclo carolingio, basato sulle gesta dei paladini di Carlo Magno. Il romanzo scava tra i miti cavallereschi, e li riesuma per dipingere un mondo alienato dall’etichetta e dalla burocrazia: storie di formalismi vuoti e di concretezza del vivere, di presa di coscienza d’essere al mondo e autocostruzione d’un destino, oppure d’indifferenziazione dal tutto. Il protagonista, Agilulfo, è il più devoto combattente, il più convinto, il più capace, ma il titolo rivela la sua irrisolvibile problematica esistenziale, perché per l’appunto lui non c’è, è un’armatura vuota: abnegante e incosciente, stakanovista ante litteram, vacuo, lodevole eppure imbarazzante, e infine tormentato: … passava, attento, nervoso, altero: il corpo della gente che aveva un corpo gli dava sì un disagio somigliante all’invidia, ma anche una stretta che era d’orgoglio, di superiorità sdegnosa.
Olesen sceglie una pietra miliare della cultura italiana, un ineludibile snodo letterario, e traghetta sul palco le figure di Calvino donando loro un impulso vitale e recitativo d’indubbio valore. Il testo, che già di per sé è tragicomico, diventa dissacrante, grottesco e quindi spassoso, faceto. Dagli accenti diversi per ogni personaggio, alla gestualità, fino al preciso rumorismo, l’attore-regista-drammaturgo plasma un segmento di spaziotempo davvero affascinante. Oltre al Cavaliere, che gli riesce benissimo, Olesen impersona un Carlo Magno pomposo, enfatico, risibile; e una Suor Teodora davvero superba, geniale, impeccabile… Io che racconto questa storia sono Suor Teodora, religiosa dell’ordine di San Colombano. Scrivo in convento, desumendo da vecchie carte, da chiacchiere sentite in parlatorio e da qualche rara testimonianza di gente che c’era. Noi monache, occasioni per conversare coi soldati, se ne ha poche: quel che non so cerco d’immaginarmelo, dunque; se no come farei? Lodevole, infine, la graziosa scenografia che rivela tutta la sua duttilità, passando da sfondo per il campo di battaglia a interno della chiesa di Suor Teodora.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Stefania Rogai