Torino: la tenacia del Café Müller porta Oricco sul palco nonostante il DPCM
Se lo chiedete al vostro libraio di fiducia scoprirete che non viene più stampato da anni. Se tradite il vostro libraio e andate da qualcun altro, vi confermeranno che è impossibile procacciarsi una copia nuova. Se avete fortuna, troverete una qualche prisca edizione nei negozi che trattano l’usato. Stiamo parlando di “Una relazione per l’accademia” di Franz Kafka, racconto breve del 1917 che indaga il valore della civiltà attraverso la feroce ironia di chi nella civiltà semplicemente non ci crede. Una ex scimmia entra in scena e recita la sua lectio per dei cattedratici che poi sono gli spettatori, tutti a loro modo espertissimi di quell’arte che è l’inerzia dell’esistere umano.
Per sabato 31 ottobre era prevista l’unica replica di Paolo Oricco dei Marcido Marcidorjs nei panni della scimmia kafkiana. Ma con un decreto del presidente del consiglio ad impedirlo, ci si è dovuti arrangiare diversamente. E quindi se non è il pubblico ad andare a teatro, sarà il teatro a venire da noi: tutta la stagione del Café Müller di Torino è stata quindi traslata sugli schermi dei computer. Si acquista il biglietto, si ricevono delle credenziali e si assiste comodamente da casa, in pigiama, con una tisana o magari un gin tonic sulla scrivania. Una volta acquistato il biglietto abbiamo quarantotto ore per guardare lo spettacolo. Ma attenzione: il biglietto può essere acquistato in qualunque momento dopo la prima data disponibile; e così ognuno può assistere quando gli viene più comodo. È chiaro: del concetto sociale di teatro rimane ben poco, si perde davvero moltissimo se di una performance ci arriva solo l’eco digitale. Ma l’iniziativa è sicuramente degna di plauso e in qualche modo merita di essere incoraggiata, dati i tempi funesti in cui ci viene chiesto di sopravvivere. Quindi, se possiamo, nonostante tutte le fisiologiche obiezioni che potremmo sollevare, cerchiamo di sostenere progetti come questo: ci guadagnano i teatri (o quantomeno evitano di fallire), ergo ci guadagniamo tutti.
Dopo un’intro registrata in cui si spiega la genesi dello spettacolo e la prospettiva dalla quale lo si è voluto plasmare, Paolo Oricco guadagna il palco – pelliccia di corde, calzoncini da ginnasta, gambe in vista, scalzo – e molto abilmente soffia il lirismo vitale in una prosa dura come quella di Kafka, che letto sconvolge ma interpretato travolge. L’allegoria vuota e ambigua tipica di un certo esistenzialismo prosaico e post leopardiano diventa una vera e propria lezione di antropologia à la carte, dove sono molteplici gli spunti sul nostro modo di esistere attraverso gli intrecci di una società se non sbagliata quantomeno sfasata. E Oricco tenta di ricreare il primate attraverso il faccettismo ma soprattutto grazie ad una gestualità vincente: nel computer non c’è un attore, ma una vera scimmia che racconta la sua storia, e poi assembla in quattro e quattr’otto una rivelazione che molti imperterriti continuano ad ignorare nonostante l’andamento delle cose, da troppo tempo ormai, non convinca più una buona parte della comunità. Ovvero: c’è qualcosa che non va, se io, una scimmia, mi sono sentita umana quando ho imparato a bere o a sputare. Niente di più attuale, quindi, come scelta: il testo di Kafka, nonostante i suoi oltre cento anni di vita, chiarisce senza esclusione di colpi che la scala di valori sui quali abbiamo costruito e continuiamo a costruire è fallace, ipocrita, mendace. Ed è proprio la natura dalla quale discendiamo e alla quale ritorneremo, a spiegarcelo attraverso una scimmia (o un virus…). In fin dei conti, perciò, s’è trattato di un’occasione puntualissima, riuscita: Oricco ci ha proposto, grazie anche alla regia di Marco Isidori, una scimmia scaltra, che vuole mischiarsi agli umani per fuggire da essi: si nasconde in bella vista e vince l’avversario abbassandosi al suo livello.
Davide Maria Azzarello