“Adolf Hitler. Biografia di un dittatore” di Hans-Ulrich Thamer
Tutti conosciamo Hitler. Ha segnato la storia e ancora oggi esistono le ripercussioni delle sue decisioni. Ferite aperte, soprattutto nella memoria. “Il suo nome è legato al ricordo della dittatura, della guerra, del genocidio”. E, come ogni idolo che si rispetti, sono state anche tante le persone che lo hanno ammirato e acclamato come “salvatore della nazione” e “genio politico”. Il suo nome è legato allo scritto Mein Kampf, in cui reinventò la sua biografia per alimentare quel mito che crollò solo con la violenza della guerra.
Per ben comprendere lo scenario politico che portò avanti è necessario soffermarsi anche sul suo comportamento privato che lo ha reso quell’uomo, sul legame tra “messinscena e potere” all’interno di una società civilizzata, in grado di mobilitare le masse, distruggere le ideologie, i luoghi e i popoli con costanza e determinazione, iniziando tardi la sua ascesa politica, solo dopo i suoi primi trent’anni di vita, nel 1919, quando partecipò a un’assemblea della DAP, fino al 31 gennaio 1933 quando diventò cancelliere del Reich: un cammino di cui ha saputo sfruttare a pieno tutti i vantaggi, giocando abilmente sulle aspettative della società tedesca di quegli anni.
Hans-Ulrich Thamer – professore emerito di Storia moderna e contemporanea della Westfälische Wilhelms-Universität Münster, tra i miglior esperti di nazionalsocialismo – con “Adolf Hitler. Biografia di un dittatore” (Carocci, pp. 320, euro 24) analizza la figura del Führer soffermandosi sulla sinergia tra il contesto storico-politico degli anni ‘20/’30 e le scelte di potere – “una politica totalitaria di esclusione e persecuzione” – che Adolf Hitler ha fatto per arrivare al posto che, infine, ha occupato, determinando in tal modo il corso della storia, fino alla sua morte nel 1945. L’autore si sofferma, inoltre, sullo stile politico di Hitler, ovvero sulle “molteplici forme assunte dal processo decisionale nella politica nazionalsocialista”.
Marianna Zito