A Kiev fra i fantasmi di EuroMaidan
La Piazza dell’Indipendenza è la piazza più famosa nonché la principale di Kiev. Attraversata dalla via Krechtchatyk, la Piazza è monumentale nella sua centralità. Nel corso del tempo, questa celebre piazza di Kiev è stata battezzata in numerosi e variegati modi sino ad essere appellata dagli abitanti semplicemente Maïdan che significa “Piazza” in ucraino, in arabo e in persiano. Tra il 21 e il 22 novembre 2013 all’indomani della sospensione da parte del governo ucraino dell’accordo di associazione DCFTA (Deep and Comprehensive Free Trade Area) tra Ucraina e l’Unione Europea, gli abitanti di Kiev si riversano nelle strade. La Piazza scelta per le manifestazioni non fu casuale, non solo per la sua collocazione urbana, nel cuore della capitale ucraina, ma perché da quei giorni in poi quello spazio costituì l’epicentro che assocerà definitivamente il popolo di una nazione ad un luogo ben caratterizzato da rivolte, proteste e morti.
Ribattezzata EuroMaidan nell’inverno tra il 2013 ed il 2104 quella città nella città fu il punto di partenza dell’offensiva contro il governo filorusso di Victor Yanukovyc, e costituì il fulcro delle proteste che portarono alla Rivoluzione Ucraina ed alla conseguente fuga e messa in stato di accusa del Presidente ucraino. Le proteste durarono circa tre mesi, nonostante la presenza massiccia di polizia, le rigide temperature sotto zero e la neve. Un’escalation di repressione da parte delle forze governative portò le manifestazioni al culmine con circa 800.000 dimostranti che assediarono l’area di EuroMaidan a ridosso del Natale 2013. Nonostante i numerosi e sanguinosi tentativi di sedare le proteste da parte di polizia e titusky e conseguentemente all’approvazione (16 gennaio 2014) delle leggi contro la libertà di manifestazione, la gente non abbondonò mai la Piazza fino a crearvi delle vere e proprie barricate con copertoni, lamiere, inferriate e tutto ciò che era possibile ammassare per fronteggiare l’avanzata delle forze di sicurezza.
Fu proprio nel mese di gennaio del 2014 che le manifestazioni assunsero il volto di una vera e propria Rivoluzione che segnò per sempre le sorti di un intero Paese. In quei giorni gli attivisti dell’EuroMaidan si appellarono ai militari per la loro “solenne fedeltà al popolo ucraino”, cercando di supportare i manifestanti piuttosto che il “regime”, cercando di convincerli a non eseguire “ordini criminali”, in particolare l’uso della forza contro i civili. Non bastò ed al termine della rivolta i morti furono oltre cento e migliaia i feriti. Gli ucraini ottennero nuove libere elezioni a maggio del 2014 che dopo la dipartita di Yanukovyc videro vincitore Petro Poroshenko, noto imprenditore già ministro degli Affari Esteri e successivamente ministro dello Sviluppo Economico. Poroshenko, pur criticato per i suoi evidenti interessi lucrosi, mantenne tuttavia una posizione molto più incline all’Occidente rispetto al predecessore, riaprendo le possibilità di adesione a NATO ed UE e firmando l’importante accordo di Associazione tra Unione Europea e Ucraina.
La vittoria della volontà popolare in Ucraina non fu ben digerita in Russia. La risposta del Cremlino al rigetto ucraino nei confronti del governo filorusso non si fece attendere, geolocalizzandosi in due aree differenti. In ordine cronologico, l’intervento russo avvenne prima nella penisola di Crimea e poi nella regione del Donbass dove oggi infuria ancora una sanguinosa e dimenticata guerra di bandiere tra ucraini e filorussi con oltre diecimila morti sul campo in poco meno di cinque anni. Un epilogo che rappresenta un po’ quel sogno svanito da parte di un popolo che chiedeva di diventare più simile all’Europa e si è ritrovato in parte annesso alla Russia. In quei mesi in quella Piazza c’erano gli arrabbiati, gli speranzosi, i violenti, c’erano bambini, donne, anziani e tanti valorosi giovani alla ricerca di un sogno europeo.
C’era tutta l’Ucraina, arrivata a Kiev per dire qualcosa, per manifestare la propria volontà di appartenenza e ripudiare l’ondata repressiva che stava per accanirsi contro un popolo inerme. “Tutto sembrava surreale, la gente, gli slogan, i colori. Era il nostro Paese che si mostrava al mondo così come era. Molto arrabbiato ed estremamente povero. Eravamo tanti e faceva un freddo che congelava il respiro”, racconta Helena che ci porta a spasso per la città. Il freddo e la neve erano il contorno ad un teatro di fuoco e fumo che ravvivavano notti e giorni in quel gelido inverno. Le bandiere ucraine sventolavano a fianco di quelle europee, entrambe insanguinate, lacerate da proiettili sparati dai cecchini appostati sui tetti. Dopo che la carneficina fu compiuta arrivò la Primavera, la stessa che oggi rende splendida quella Maidan tanto dolce quanto silenziosa, interamente ricostruita e ammodernata. Maidan oggi è un museo a cielo aperto dove fotografie, bandiere, strutture in rilievo, coccarde, fiori, colori giallo blu, croci, lapidi, testimoniano ciò che accadde qualche anno fa “Se ci sono riusciti i polacchi, gli slovacchi, gli ungheresi, continuiamo a domandarci perché non dovremmo riuscirci noi”. Helena fa parte di quella generazione poliglotta, tecnologica, viaggiatrice, che si sente europea senza poterlo essere.
“Nei giorni di Euromaidan organizzavamo manifestazioni a sostegno di chi era a Kiev a protestare, per noi era una festa come non l’avevamo mai vissuta prima. Ci dipingevamo una guancia con la bandiera dell’Ucraina e l’altra con quella dell’Europa, era bella la solidarietà tra le persone, era emozionante sentir parlare di Ucraina. C’erano musicisti scesi in strada con i propri strumenti, c’era un pianoforte dietro le barricate, anziani che scaldavano un po’ di acqua in cui bollivano le patate, c’era la gioia di vivere in quei giorni, perché ci eravamo resi conto che stavamo cavalcando l’onda di un sogno in giallo e blu, i colori dell’Europa ma anche i colori dell’Ucraina”. Ma poi arrivarono i cecchini che furono schierati in un hotel vicino a EuroMaidan prima della carneficina del 20 febbraio 2014 che costò la vita ad ottanta manifestanti.
E proprio di fronte a quell’accampamento di presidio, divenuto simbolico perché paralizzò il Paese a livello urbano e in ambito istituzionale, svetta anora oggi un gigantesco banner collocato sulla sede del Kyiv House Trade Unions che in quei giorni andò a fuoco. Sul banner si vedono le catene spezzate in cui Freedom is our Religion rappresenta il messaggio a quelle generazioni che si affacciano verso un futuro molto incerto in un contesto geopolitico dove l’ombra della Madre Russia mantiene ancora in vita i fantasmi di EuroMaidan.
Aprile 2018
Salvatore Di Noia