“12 BACI SULLA BOCCA” IN SCENA AL TEATRO INDIA
Dopo “Gli Onesti Della Banda”, lo spettacolo “12 Baci sulla Bocca”, in scena fino a domenica 17 febbraio, conclude il dittico che il Teatro Di Roma ha dedicato alla compagnia partenopea NEST, ospitata nell’occasione presso la Sala B del Teatro India.
Giuseppe Miale Di Mauro cura la messa in scena del testo di Mario Gelardi, avvalendosi di un cast di tre bravissimi attori, tra i quali spicca un a dir poco straordinario Ivan Castiglione, professionista forse ancora troppo poco conosciuto alle masse o addirittura troppo poco utilizzato nel non sempre esaltante panorama attoriale italiano. Francesco Di Leva e Andrea Velotti sono gli ottimi compagni di scena di Castiglione ma, pur essendo drammaturgicamente più centrali nel disegno complessivo del lavoro proposto, sembrano concedere qualcosa al loro sodale che non perde occasione per determinare l’andamento complessivo dell’azione ogni volta che compare in scena, interrompendo la trame tra i due clandestini amorosi che stanno compiendo un viaggio di scoperta e accettazione uno (il promesso e poi novizio sposo di Velotti) e di sognata emancipazione l’altro (il cameriere con desiderio di espatrio di Di Leva)
La messa in scena, ambientata a metà degli anni 70 tra la strage di piazza della Loggia e la morte di Pier Paolo Pasolini, è scorrevole, semplice, efficace e mai banale. Bastano pochi accorgimenti, perfettamente studiati, per creare un processo che non perde quasi mai il proprio centro nevralgico, mantenendo sempre viva l’attenzione dello spettatore che segue con trasporto le vicende narrate. Vicende alle quali si assiste con interesse e senza avvertire la necessità di schierarsi da nessuna parte, perché ogni attore lavora con quella onestà che non richiede complicità, o addirittura peggio, tifo ma semplicemente ascolto.
Il quarto protagonista della vicenda, importante tanto quanto gli altri tre attori, è la musica. Varia, potente, mai fuori luogo, è sin dall’inizio elemento di scrittura imprescindibile in questo lavoro che non sarebbe lo stesso senza questa componente così fortemente condizionante. Non assistiamo di certo a un musical ma a un’esperienza in cui non ci si vergogna di sottolineare l’andamento delle emozioni umane con lo strumento che, probabilmente, tra i molti conosciuti, meglio riesce ad esaltarle.
Il bel Teatro contemporaneo italiano ha in questa compagnia, in questo regista, in questi attori, in questo drammaturgo, degli ottimi esponenti che ci dimostrano come non sia obbligatoriamente necessario puntare alla produzione di un kolossal o di operazioni intellettualmente complicate per affermarsi e attrarre nuove generazioni di spettatori, che potrebbero trascorrere, strappati all’ennesima puntata dell’ennesima serie televisiva, 60’ all’insegna della crudezza, della delicatezza, della violenza di dover essere qualcuno quando si vorrebbe essere altro.
Giuseppe Menzo