“Vite mie”, il nuovo romanzo di Yari Selvetella
Le ombre. Le ombre che vanno, le ombre che restano. Continuano a oscurarci lo sguardo, sempre meno, quasi fino a svanire. Per poi ritornare. Tornare lì dove abbiamo ricostruito, riamato, ristabilito un ordine.
È quello che succede in “Vite mie” (Mondadori, pp. 250, euro 18.50) di Yari Selvetella a Claudio Prizio, un quarantacinquenne romano che inizia a farsi domande, a mettersi in discussione, innescando così una vera e propria battaglia contro il tempo, ripercorrendo tutte le tappe della sua esistenza, per cercare di capire il presente con le sue nuove emozioni, senza mai riuscire ad allontanarsi dal dolore del passato, per liberare il presente. Nel suo presente c’è una nuova compagna di vita e nuovi figli che non hanno un vero legame di sangue tra loro, ma comunque un legame talmente forte da renderli una vera famiglia. Un percorso questo che hai il suo culmine in una domanda, ovvero su quale è il vero significato del verbo amare. E su cosa significhi amare a quarantacinque anni in una famiglia quasi perfetta, così variegata, segnata da lutti e da nuovi amori.
“Non so più amare, chiedo perdono a tutti. Prima provo a pensarlo, poi a dirlo sottovoce, poi per convincermene aggiungo il pronome: io non so, io non so più amare.”
Un romanzo familiare, in cui la vita del protagonista si rispecchia nelle vite delle persone che incontra, con le quali cerca affinità e forse anche la propria identità, che sente oramai persa. E il tutto avviene all’interno di quella città magica che è Roma, che regala tanto, ma riesce anche a custodire il passato e la memoria di chi vi nasconde i propri ricordi.
Marianna Zito