Torino, Teatro Erba: Fake, di Lorenzo Balducci, sul fittizio e l’autentico
21 febbraio 2023. Siamo a Torino, il Teatro Erba di corso Moncalieri non è gremitissimo (sarà che è un martedì…), eppure dovrebbe, perché sul palco sta per salire Lorenzo Balducci, quarantenne romano di cui ricordiamo, fra le altre cose, la partecipazione a parecchi progetti di Luciano Melchionna. Dopo il successo di Allegro, non troppo ecco Fake, il nuovo testo tragicomico che parte dalla vita dell’attore (inteso come lavoratore e non come artista) per giungere a questioni più complesse. Lo spettacolo, di base, è autobiografico, e tuttavia si pone come obiettivo di abbracciare l’essenza picaresca di chi vive per recitare: quelli che ce la fanno, quelli che non si arrendono, l’arrivismo, il clientelismo, il grottesco che non risparmia nessun ambiente lavorativo ma che qui (come nell’arte, nell’editoria, nella musica) diventa davvero spietato, disumano, sgradevole. Scritto da Riccardo Pechini e Mariano Lamberti, che ha curato anche la regia, Fake è un percorso serio e ironico, interdisciplinare, faceto ma denso.
Per cominciare, Balducci vuole ingraziarsi il pubblico, e ci riesce con un lip sync su alcuni fra i più frenastenici interventi di gente come Wanna Marchi o Pamela Prati: un medley leggero, su coreografia gestuale, quasi da mimo. Da lì, Platone e quindi Buddha: cosa è vero e cosa è falso? La realtà la creiamo noi, guardandola e poi raccontandola. Ed eccoci quindi all’esperimento sui fotoni di Taylor (qualunque cosa sia). Religione e fisica quantistica dimostrerebbero la stessa teoria. Balducci entra ed esce dal suo stesso monologo con un’agilità rara: si vuol riferire dell’esperienza di attore – lavoratore ma, si scopre, anche trait d’union fra realtà e apparenza – senza però tralasciare tutto ciò che scorre in parallelo o che quantomeno possa aiutarci a comprendere quella fakeness (senza alcuna accezione particolare) di cui consta la nostra stessa vita, poiché tutto è vero, potenzialmente, se solo si osserva dalla prospettiva più conveniente. Lo spettatore viene travolto da uno tsunami di aneddoti i quali permangono sulla retina come un flash o un ricordo: ad una festa il Lorenzo protagonista incrocia Paola Borboni, vecchissima, la quale con un filo di voce asserisce che il teatro è la vita. I colleghi commentano il tuo operato e il tuo sudore con frasucole del tipo Sei derivativo, non lavori in profondità. La prosopagnosia, grazie alla quale si può negare il saluto a chi ti sta salutando. Da Lucifero si passa a Dorian Gray e pertanto ai filtri di Intagram, alle foto del culo, e agli sforzi atroci che occorrono per raggiungere quelle pose che gli consentano di apparire come non è. Le foto! Un tempo erano private, mamma le conservava anche se non eri venuto proprio carino: ora anche se sei a Coccia di Morto deve sembrare che stai nelle Antille Francesi. Non esiste un emoticon per tutto, o forse sì? Quali hashtag avrebbe usato Socrate per accompagnare il suo ultimo selfie? #cicuta? #vitadimerda? La questione delle reti sociali ritorna inevitabilmente, più e più volte, e con loro temi come la FOMO, Fear Of Missing Out, che Balducci non esita a dissacrare, e a ragion veduta. Ma d’altronde cos’altro ci è rimasto, se non la battuta? Non che si rida e basta: perché, per esempio, i social sono gratuiti? Perché la merce siamo noi: Pasolini ha tentato di spiegarcelo in tutti i modi, che sarebbe arrivato un momento come questo. E non solo non lo abbiamo ascoltato, come ogni Cassandra: non ci siamo neanche accorti degli abissi che abbiamo raggiunto. Se fosse ancora vivo, anche lui si ritroverebbe ad altercare con qualche produttore idiota di Netflix perché la trama di Medea va adattata alle esigenze di mercato. Per rimanere in tema, si proietta il fotogramma del cucchiaino dal Girone della Merda gestito dalla Signora Maggi in Salò, e per non farsi mancare niente, parliamo anche di Augustus Gloop. E poi del parallelismo, totalmente inattaccabile, fra la notifica del cellulare e il campanello per il cane di Pavlov: il riconoscimento, la dopamina, la dipendenza. E l’unica verità: Meryl Streep e il suo ciak singolo per quella scena de La scelta di Sophie che tutti ricordiamo, quando le tolgono la bambina. Balducci sceglie poi di affrontare per la prima volta un argomento piuttosto spinoso, da lui stesso definito il dramma del bambino dotato: Sono stato un ragazzo raccomandato, ammette, e quando è scoppiata quella bolla sono arrivati insieme la vergogna e il sollievo. Lorenzo è figlio di Angelo, dirigente pubblico condannato in via definitiva per corruzione. Qui, per ovvie ragioni, non ci importano i dettagli della vicenda, che peraltro Lorenzo in parte racconta, ma plaudiamo al coraggio di chi non teme il giudizio, il sospetto: cosa sarebbe successo se avesse saputo? Chissà. Gli viene incontro Sliding doors, con Gwyneth Paltrow. Lorenzo è scappato, è a New York, balla in mutande in un locale dell’East Village, Lorenzo torna a Roma per fare il terrorista in tacchi a spillo. Sipario e bonus track: un altro lip sync su Ilary Blasi vs Fabrizio Corona, Enrica Bonaccorti vs Maria Grazia e il suo eternìt, varia discografia pop degli ultimi trent’anni, ancora Wanna, e un classicone come Miranda Priestley.
Gagliardo, intelligente, sexy: Balducci sa di cosa è capace e vi si dedica con convinzione. Fake è cucito su di lui e questo garantisce un margine d’errore minimo: le due ore passano in fretta, sembra di stare al bar con un amico molto loquace, di quelli che sanno tante cose ma non te lo fan pesare.
Davide Maria Azzarello