“Testimoni di violenza. La camorra e il degrado sociale nel racconto di dieci detenuti” di Giovanni Starace
“…questo libro schiude prospettive nuove sull’universo camorristico indagandone una dimensione inedita, il mondo interiore dei protagonisti”.
Più di un anno di incontri periodici tra lo psicoanalista Giovanni Starace e un gruppo di detenuti rinchiusi nel carcere di massima sicurezza di Poggioreale, a raccontare le loro realtà, le loro vite. C’è chi nell’ambiente delle camorre ci è nato, chi ci arriva per caso, chi per scelta e chi per necessità. Sono innumerevoli i casi e tutti diversi tra loro, ma una sola cosa è certa “tutto quello che la camorra tocca si degrada”, dai valori ai rapporti umani e famigliari e con un epilogo quasi sempre scontato che prevede il carcere o la morte.
Un progetto che, staccandosi dai racconti della cronaca, vuole mettere in luce la realtà del singolo individuo, nelle sue relazioni primarie e sociali, dalla famiglia alle scelte personali di vita. Gli undici detenuti, uomini e adulti, scelti per partecipare a questo laboratorio, hanno risposto in modo positivo, aprendosi e facendo sì che nascesse un rapporto profondo all’interno del gruppo di lavoro. La condivisione, la ricostruzione dei tanti episodi con i necessari risvolti emotivi e gli incontri con gli altri sono stati utili per individuare in loro risorse personali da utilizzarle per prospettive differenti da quelle del passato. Un’esperienza molto incisiva che ha permesso loro di mantenere un rapporto con il mondo esterno e di elaborare un nuovo progetto, da cui nasce “Testimoni di violenza. La camorra e il degrado sociale nel racconto di dieci detenuti”, (Donzelli, Collana Interventi, 2020, pp. 168, euro 19) secondo libro che Giovanni Starace dedica a questa tematica.
Si individua sin da subito, come fulcro della vita di questi uomini, la figura del padre, “è colui che getta le basi, in modo definito, della propria identità maschile”, che lega più persone e ne garantisce la crescita e lo sviluppo. È colui che detta o ha dettato la norma ed è la eco che ognuno di loro ricerca o rivede nella figura del boss o, paradossalmente, all’interno della situazione carceraria. Le madri invece mantengono un ruolo universale, a livello pratico e affettivo, ma che non riesce comunque a proteggere i figli dalla vita delinquenziale. Motivazione rilevante è la “rabbia verso se stessi”, con meccanismi di distruzione legati alla disperazione e all’ignoranza; infatti, la mancanza di strumenti culturali ed educativi per fronteggiare le situazioni difficili, la continua ed eccessiva smania di soldi e la conseguente vendita di droga sono le soluzioni più pratiche per sfuggire alla povertà e per provare ad affermarsi nei propri quartieri. Ogni quartiere è diverso dall’altro e in ognuno di questi è sempre “l’ombra della criminalità organizzata a essere riconosciuta come elemento caratterizzante”, con reclutamenti inconsapevoli e il conseguente degrado sociale e ambientale. È interessante l’ultimo capitolo di questo libro-inchiesta, che si allontana dal racconto personale dei singoli episodi, per osservare il fenomeno in chiave psico-analitica con approfondimenti di tipo filosofico.
Alcuni detenuti che hanno partecipato al progetto hanno chiesto di rimanere anonimi, gli altri invece sono Vincenzo Caterino, Domenico Cerasuolo, Paolo Cozzolino, Francesco Schisano, Alfredo Scardicchio. Questo volume rientra nel progetto di ricerca finanziato dall’Università degli studi di Napoli Federico II, a sostegno dell’attività del laboratorio interdisciplinare di ricerca su mafie e corruzione (LIRMAC).
Marianna Zito