“Ricetta per un disastro”: Stephen King chef dell’orrore

Halloween si avvicina e perciò se volete stupire amici o parenti preparando una colazione, un pranzo o una cena a tema Stephen King, il libro di Luca Fassina è proprio quello che stavate cercando! “That sounds like a recipe for a disaster” è un modo di dire della lingua inglese usato per intendere che un determinato modo di agire o i fatti che stanno accadendo attorno a noi non porteranno a nulla di buono. È proprio a questo modo di dire che si ispira lo scrittore e critico Luca Fassina nel suo saggio: “Cucina, Stephen King: ricetta per un disastro” (Oligo Editore, 2022, pp. 100, euro 12).
Il titolo potrebbe farci pensare che si tratti di un’allegoria impiegata dall’autore per parlarci del modo di scrivere di Stephen King e della sua letteratura ma, in realtà, identifica sin dalla copertina il plot centrale del libro, permettendoci di sedere a tavola con il re del brivido e le sue creature. Quello che Fassina vuole sottolineare è il rapporto che Stephen King ha con il cibo all’interno delle sue opere e per farlo compie non solo un’analisi dettagliata del ruolo che riveste il cibo stesso, ma arricchisce ogni suo commento in merito con ricette proprie della tradizione americana, ricette tipiche dal sapore e alla maniera kingiana, prese direttamente dai suoi libri e in linea con le tematiche affrontate da Fassina nei suoi capitoli. Più precisamente, i temi trattati dal critico sono: il rapporto tra cucina e cuoco, la cucina come luogo, gli ingredienti, l’alcol, il mangiare come momento di condivisione e il fast-food considerato come il correlativo della pop art in ambito culinario.
Sorge spontaneo domandarsi: perché King dà così tanta importanza al cibo in alcune pagine dei suoi scritti? La risposta sta nel fatto che, essendo un autore di storie horror e fantastiche, risulta necessario un ponte che lo tenga ben saldo alla realtà, in modo da rendere più credibili i suoi racconti e permettere al lettore di prendere sul serio le sue parole. Non vi è perciò collegamento migliore del cibo, visto che a questo mondo ogni essere vivente necessita di nutrirsi. Il rapporto del re del brivido con il mangiare è strettamente americano. Troveremo ricette più semplici da realizzare e altre meno, ma mai sofisticate. Questo perché il cibo per Stephen King (che, a differenza di sua moglie Tabitha, sembrerebbe non essere un grande cuoco!) è correlato a momenti di consumo quotidiani, come mangiare un hot dog o un hamburger durante la pausa pranzo. “Sono l’equivalente letterario di un Big Mac con patatine fritte”, queste le parole di Stephen per definire la sua narrativa; uno stile facile e colloquiale paragonabile ad un Big Mac che tutti possono mangiare, l’hamburger della letteratura americana (se non mondiale). Difficile e significativo risulta invece il rapporto che King ha con l’alcol. È cosa nota il duro e problematico passato dell’autore rispetto al bere: basti pensare alla considerazione che ha per il vino rosso ritenuto “leggero” nelle sue storie e perciò non paragonabile ai superalcolici e alla birra.
D’altra parte, per cucina non si intende solo ciò che mangiamo o beviamo; la cucina è anche un luogo, una stanza molto significativa per l’autore. È proprio vicino ai fornelli che riceve la telefonata che gli cambierà la vita: dall’altro capo del telefono c’è la Signet Books lieta di comunicare a Stephen l’acquisto dei diritti paperback per Carrie (1974), il suo primo romanzo. Sono molte le scene di vita comune ambientate nella tipica kitchen americana, grande e luminosa, vero cuore e focolare della casa; posto in cui a volte si ricava una piccola pausa prima di affrontare il mostro di turno. La cucina, però, può essere anche un luogo oscuro e insidioso; è proprio dietro al suo aspetto luminoso e felice che si nasconde l’orrore. In Shining (1977), per esempio, un intero capitolo è intitolato Kitchen Talk, dove assistiamo a come i gesti amorevoli e ripetitivi di un padre, che prepara un tè al figlio, e di una madre. che prepara da mangiare al proprio bambino, diventano il preambolo di una tragedia. Oltre alla kitchen, altro luogo significativo è il ristorante cinese dove i biscotti della fortuna sono usati per dare messaggi divini o divinatori ai personaggi, proprio come accade al gruppo dei “perdenti” ormai adulti in It (1986). Non si può tralasciare il rapporto di amo et odio nei confronti della cucina italiana, caratterizzata da un onnipresente odore di aglio, quasi a voler alludere che proprio quello sia l’odore degli italiani, o meglio dei «macaroni» come è solito chiamarci Stephen. Insomma, se non ve la siete presa per la tipica ironia americana e avete voglia di sbizzarrirvi in cucina, siete decisamente pronti per una “ricetta disastrosa”. Buon appetito!
Aurora Milana