“Prendere vita nella stanza d’analisi” di Thomas H. Ogden
Thomas H. Ogden, una delle figure più in vista della psicoanalisi contemporanea, in “Prendere vita nella stanza d’analisi” (Raffaello Cortina Editore, 2022, pp. 196, euro 20) ha raccolto una serie di suoi articoli che ha pubblicato, negli ultimi anni, su riviste internazionali di psicoanalisi. Un percorso, fatto di pubblicazioni, che fa comprendere in modo chiaro al lettore la sua nuova visione della psicoanalisi e della relazione con il paziente nella stanza d’analisi. Il passaggio a cui Ogden cerca di accompagnare il lettore, è quello che va da una “psicoanalisi epistemologica” (psicoanalisi del conoscere e comprendere) a una nuova psicoanalisi, la “psicoanalisi ontologica” (una psicoanalisi dell’essere e del divenire).
Ogden diffonde una nuova concezione della mente del paziente, che diviene processo vivente e, in quanto tale, si manifesta nell’esperienza in atto. L’obiettivo della psicoanalisi ontologica è quello di permettere al paziente l’esperienza di scoprire creativamente sé stesso, sentendosi pienamente vivo e pienamente sé stesso. Diverse volte tornano nelle pagine del libro alcune domande. Come funziona la terapia? Come si definisce la salute mentale? Cosa vuole il paziente dalla terapia? E soprattutto, come può l’analista essere autentico nella stanza d’analisi con il suo paziente? Un paziente con cui il terapeuta gioca, co-crea la seduta e la relazione.
Nei capitoli II e IV l’autore si sofferma su due degli scritti più importanti di Winnicott, che riguardano l’esperienza di essere e diventare se stessi “con tutto il senso del reale” come obiettivo della psicoanalisi. Nei capitoli, III e V, invece, l’autore descrive il suo modo di praticare la psicoanalisi, spiegando cosa realmente significhi inventare la psicoanalisi con ogni paziente, spiegando come, nella seduta con i suoi pazienti, l’autore non sia interessato tanto a fare un’interpretazione coerente quanto nell’essere presente e nel fare esperienza insieme a essi di aspetti della propria esistenza che i pazienti non hanno ancora potuto vivere. Nei capitoli VI e VII vengono esplorati due sviluppi nella teoria analitica, il cambiamento della concezione della nascita della mente e l’uso fondamentale del linguaggio nel comunicare la realtà psichica del paziente. Nel capitolo VIII l’autore spinge il lettore a gustare e fare esperienza, facendo sperimentare piacere e meraviglia nella lettura di una poesia di Frost e una di Dickinson. Nell’ultimo capitolo, infine, viene trattata l’esperienza della scrittura analitica.
Un libro affascinante, aperto, ricco di punti di riflessione e di nuove conoscenze, che sono di grande interesse non solo per psicoanalisti ma per ogni psicoterapeuta e ogni curioso interessato al modo in cui la mente e l’esperienza umana prendono vita.
“La verità nel setting analitico è estremamente difficile e dolorosa da sperimentare ed esprimere, perché la verità che il paziente cerca quando chiede aiuto a un’analista è la verità di esperienze che erano insopportabili quando sono accadute, e rimangono insopportabili. Ogni coppia analitica è impegnata fin dall’inizio nel compito di creare un modo di parlare che sia adeguato a dare espressione sia alla paura della verità del paziente sia al bisogno del paziente di conoscere la verità della sua esperienza.”
Lavinia Narda