“La seconda morte di Ramón Mercader” di Jorge Semprún
La contemplazione di un quadro in tutte le sue minuzie, quasi ad esserci, ascoltare, annusare tutto ciò che si vede, che è lì e che in quel quadro sarebbe potuto forse accadere.
“…aveva sentito un tuffo al cuore, infatti, alla vista di quel paesaggio familiare, ma sconvolgente inchiodandolo alla sabbia di questa riva, a destra e leggermente in disparte rispetto ai personaggi visibili, come se fosse stato, lui stesso, l’ultimo personaggio, invisibile, di quel quadro, come se il pittore – tre secoli prima – con ironia, avesse previsto il suo arrivo, il punto in cui si sarebbe fermato, e la prospettiva della sua visuale, e perfino quel palpito, premonitore, per poi subito negarli, rifiutandosi di dipingere quel personaggio che lui sarebbe potuto diventare, rendendolo invisibile, oppure stemperandolo, con un’ultima serie di pennellate precise e leggere, nella sabbia rossiccia, nell’acqua increspata, nell’ombra delle torri, più fitta sul canale sazio di luce.”
È la Veduta di Delft di Vermeer, il quadro più bello del mondo, secondo Proust o secondo altri, chissà. Di sicuro è il quadro che fa da sfondo – insieme alla Recherche – al libro “La seconda morte di Ramón Mercader” (Settecolori, pp. 460, euro 28, postfazione di Stenio Solinas) di Jorge Semprún.
Il personaggio di Semprún, è chiaro, porta il nome dell’assassino di Trotskij. Ma questo Ramón Mercader ha molti segreti, lacune e anche molte identità: è un comunista, e allo stesso tempo una spia dell’Urss, nonché vicedirettore di una società commerciale spagnola. Il tutto ha inizio nel 1966, ad Amsterdam dove – appena atterrato da Madrid – Mercader si accorge immediatamente di essere seguito e spiato e, senza sapere né da chi né il perché, comincia ad attuare anch’egli, di conseguenza, le sue mosse, innanzitutto volando verso Zurigo. Ma al suo ritorno ad Amsterdam la situazione capitombolerà e la scoperta di chi lo ha tradito gli costerà decisamente cara.
“Avrebbe sentito tutto: il silenzio della stanza, le sue risate, eventualmente il fruscio delle pagine di giornale, i rumori del suo sonno, i suoi sogni, se sognava ad alta voce. Ma non avrebbe sentito l’eco del suo sangue, il fruscio ovattato, gelido, del suo pensiero, né le pulsazioni calde, alle tempie, alla bocca dello stomaco, del suo odio.”
Uscito per Gallimard nel 1969, “La seconda morte di Ramón Mercader” è per la prima volta tradotto in italiano da Settecolori, per mano di Leopoldo Carra, che riporta egregiamente la ricchezza linguistica che caratterizza l’intero testo di Semprún. Tutto il libro è incalzante nel suo evolversi e nei suoi snodi, nonché nelle descrizioni stesse dei fatti e dei personaggi, le cui vicende e le vite si incastrano in modo perfetto, attraverso intrecci psicologici che portano il lettore avanti e indietro nel tempo, soprattutto attraverso l’evocazione di avvenimenti storici degli anni ’60, dal movimento comunista alla guerra di Spagna, dalle repressioni di Stalin a ricordi personali dello stesso autore.
” ‘Mi chiedo che fine abbia fatto’ dice Moedenhuik. Mercader si sforza di non pensare a niente, di non ricordarsi niente. Fissa gli oggetti sul tavolo, diventa forchetta, bicchiere di birra vuoto a metà, teiera panciuta, coltello lucente, tovagliolo macchiato di rossetto, avanzo vegetale: morte innocente.”
Marianna Zito