#piulibri21 – uno sguardo sul secondo giorno

Dopo due anni di stop forzato per i motivi tristemente noti a tutti, è tornato Più Libri Più Liberi, l’evento dedicato alla piccola e media editoria che ancora una volta sceglie, fino a mercoledì 8 dicembre, il Centro Congressi La Nuvola di Roma.
Come per ogni edizione passata, anche questa si caratterizza per la varietà del palinsesto che lascia spazio davvero a tutti i generi, a tutte le età, a tutti gli interessi, sia in termini di incontri e dibattiti che di area espositiva.
Ecco cosa ci ha colpito del secondo giorno.
Ascanio Celestini ci racconta l’”Effetto Pasolini”, portandoci in un immaginario museo a lui dedicato e che ripercorre le tappe fondamentali della sua vita. Dalla nascita alla morte, passando inevitabilmente dal fascismo, dal padre militare e fascista, dal fratello partigiano, e che da partigiano muore, dal suo stampo di poeta comunista, tesserato nel 1947, dal trasferimento a Roma e dal suo rapporto con la periferia della città.
Bello come Celestini ci ricorda che quella di Pasolini è una Roma molto vera, forse troppo e che non verrà mai stampata sulle cartoline. La poesia come bene inconsumabile, che può passare dalle mani e dagli occhi di tutti senza mai esaurirsi.
Nel dibattito che ne segue, insieme all’Assessore Miguel Gotor e con la moderazione di Francesca Schianchi, la casa di Pasolini di Rebibbia che va all’asta e i progetti potenziali del Comune di Roma a riguardo, sono giusto un pretesto per allargare lo sguardo su Roma, soprattutto su quella periferia che si fatica a capire essere fatta semplicemente di persone; e sul ruolo dell’intellettuale rispetto a certe tematiche quali la valorizzazione del territorio. E intanto si avvicina il centenario della nascita di Pasolini (5 marzo 1922): l’Assessore promette che l’impronta pasoliniana si farà sentire forte e chiara in tutta la città.
In Nostra Signora Guadalupe, un’emozionata Chiara Valerio intervista l’autrice messicana Guadalupe Nettel, autrice di “La figlia unica” (ne abbiamo parlato qui), evento a cura della casa editrice La Nuova Frontiera. Il punto di partenza è l’interesse della Nettel per la natura: osservandola ci si rende conto che il concetto di “contronatura” non esiste. È proprio in natura che tutto può succedere, ci sono animali che cambiano sesso più volte al giorno, per dire. È un assunto importante per arrivare a parlare di maternità che nell’America latina è una vera e propria istituzione, e ciò che una madre può o non può fare pare scolpito nella pietra. Ma si tratta di un ideale che nessuna donna, in nessuna parte del mondo, può raggiungere, e ancora una volta è la natura a venirci in soccorso, quella in cui alcuni uccelli depositano le uova e poi le abbandonano al loro destino, non curandosi in nessun modo della progenie.
La Nettel scrive di una maternità che può manifestarsi ed esercitarsi in molti modi, ma soprattutto rifiuta il concetto di maternità come cura. Ciò che davvero cura sono l’empatia e l’aiuto reciproci. La Nettel si chiede cos’è una madre e cos’è un figlio e scrive un intero libro per provare a darsi una risposta. Di sicuro ha ben chiaro il “non” concetto di diversità. Una parola che non dovrebbe esistere e sicuramente non con accezione negativa e di isolamento: non esiste un solo modo di essere, ognuno sviluppa il suo.
Sara Benedetti, insieme a Christian Raimo, ha invece presentato il suo romanzo d’esordio “Sulla cattiva strada” (ne abbiamo parlato qui), evento a cura della casa editrice nottetempo.
Un romanzo che nasce dalla fusione di esperienze personali e lavorative, e da vecchi piaceri come quello per le canzoni di De André. Soprattutto un romanzo che si fa carico di raccontare le infinite sfumature dell’animo umano attraverso un racconto corale, in cui ogni personaggio evoca lati e tensioni diversi, facilmente riconoscibili in noi. Un romanzo di linee d’ombra che usa Genova come luogo prediletto, ma anche come metafora: il contrasto tra l’area dell’Expo (ex porto) che si affaccia sul mare e i carrugi stretti e bui ci rimandano a quel dualismo umano dentro/fuori, a quella tensione che ci fa cercare protezione, ma allo stesso tempo ci spinge verso il mondo esterno. Un incontro, quello con l’autrice, che diventa anche un ottimo pretesto per parlare della condizione delle carceri in Italia, e la Benedetti lo fa senza mezzi termini, così come nel romanzo racconta violenze che si, fanno parte di una storia di finzione, ma così distanti dalla realtà purtroppo non sono.
E ci pare che tra questi tre incontri ci sia un bel filo conduttore. Nessuna strada è segnata per sempre, per forza. Se c’è una volontà collettiva, se c’è un supporto reale rispetto a certe tematiche, rispetto a certi contesti, tutto si può ripensare, tutto si può (ri)fare.
Laura Franchi