La figlia unica, le molte facce della maternità
La figlia unica (La Nuova Frontiera, pp. 224, 16,90) è il romanzo della messicana Guadalupe Nettel che, con uno sguardo ben lontano dal giudizio, ci racconta la maternità. Sarebbe forse più corretto dire che la Nettel ci racconta alcune forme di maternità, alcuni suoi lati. Raccontarla nella sua interezza, pienezza e complessità è forse impossibile e anche parte del suo fascino, in fondo.
Tre donne, Laura, Alina e Doris che ognuna a modo proprio affrontano il rapporto con l’altro, quando l’altro è un figlio. Laura per scelta non vuole figli, ma si ritroverà in qualche modo a esternare un suo senso materno. Alina a un certo punto sceglie di averne, trovandosi a fronteggiare molti ostacoli prima di arrivare al concepimento, e molti ostacoli dopo la nascita della piccola Inés, affetta da una malattia rara, ma con una forza da leone che la tiene attaccata alla vita e che, la vita, la insegna ai genitori e a chiunque le stia intorno. Doris, rimasta vedova, si trova a gestire un figlio con un’eredità difficile e farà quel che può per lui e per sé. Ma in realtà sono molte le figure femminili e legate al concetto di maternità che costellano queste pagine: la madre di Laura, le amiche di Alina, terapeute, dottoresse, collettivi femminili.
Quasi un inno alla donna, al suo potenziale e alla sua potenza, che si esplica tanto nel concepire quanto nel non concepire. Un invito a scegliere liberamente di esercitare il proprio senso materno nel modo che più si ritiene opportuno: crescendo un figlio proprio, accudendo quello di un altro, salvando un uccello su un nido. Si può essere madri/materne in molti modi, nessuno giudicabile. Sono molteplici i temi che la Nettel tocca. Il senso di impotenza e vulnerabilità davanti a fatti che prescindono dalla nostra volontà. La paura di ripetere, con chi ci è accanto, gli errori che hanno fatto con noi. L’idea di famiglia intesa come nucleo protettivo, non necessariamente tradizionale e convenzionale. La forza di imparare a guardare e gestire quel che la vita ci ha messo davanti e non quel che avevamo immaginato. E c’è un legame tra tutti questi sentimenti: il “balsamo curativo dell’empatia”, lo descrive così la Nettel, se vogliamo anche semplicemente umanità. Accettare che facciamo scelte diverse, ma in fondo restiamo tutti uguali.
“È vero che esiste il destino, ma c’è anche il libero arbitrio, e consiste nel modo in cui prendiamo le cose che ci tocca vivere”.
Spesso si tende a creare, quasi a incitare, un divario tra madri/non madri. Tuttavia, anche se ognuna è concentrata sulla propria scelta, si può ancora trovare un punto di incontro. Della serie, le differenze possono fare la forza. Questo forse è il messaggio più bello che la Nettel ci manda, tra le righe di un romanzo che scorre via leggero e complesso al tempo stesso, pura vita.
Laura Franchi