“PETER PAN GUARDA SOTTO LE GONNE” – FERRACCHIATI E THE BABY WALK AL TEATRO DELL’ELFO
“Peter, smettila! Non sei un bambino vero! Non puoi guardare sotto le gonne! Smettila, Peter…”.
Fine anni ’90. Peter (Alice Raffaelli) ha undici anni, sta per cominciare la scuola media, ma nessuno sa che esiste. Peter non riconosce quel corpo di bambina in cui è nato, indossato a fatica da sempre e che crescendo diventa ancora più stretto, scomodo, estraneo come il vestito rosa che la mamma gli regala in quella estate, e che lui porta solo per farle piacere, nonostante così sia più scomodo giocare a pallone dribblando come il suo mito Roberto Baggio. Durante i pomeriggi trascorsi con lei al parco, Peter capisce di essere attratto dalla sua amica Wendy (Linda Caridi), che di anni ne ha tredici ed è già bellissima; è turbato dalla scoperta di quelle prime pulsioni amorose, è spaventato dal confronto con i suoi genitori (evocati dalle voci di Ferdinando Bruni e Mariangela Granelli), che presto diventerà conflitto aperto, quando per la prima volta proverà a dare un nome alla propria vera identità. Nessuno vuole vederlo ma Peter esiste, come esiste l’inarrestabile ed esuberante fata Tinker Bell (Chiara Leoncini), ponte diretto tra il pubblico e la scena, l’unica che lo capisce senza bisogno di parole o di spiegazioni, forse perché anche le fate sono “degli esseri che mettono in crisi una società vecchia e chiusa”. Tinker Bell, la rattoppa campane, tenta di ricomporre i pezzi di quel bambino che si sente mezzo-mezzo mettendo a fuoco in uno scatto il ragazzo che c’è dietro i lunghi capelli biondi: “non esattamente femmina, ma precisamente un maschio”.
“Peter Pan guarda sotto le gonne” è il primo capitolo della Trilogia sull’Identità, progetto ideato e realizzato a partire dal 2013 da Liv Ferracchiati con la compagnia The Baby Walk,adesso in scena nella sua completezza al Teatro Elfo Puccini di Milano. La drammaturgia, firmata da Ferracchiati con Greta Cappelletti, affronta il delicatissimo tema dei bambini e adolescenti transgender intrecciandolo in filigrana con le pagine di Peter Pan nei giardini di Kensington di James M. Barrie. L’intuizione è fortemente calzante, il risultato poetico, illuminato di sensibilità e tenerezza, ma anche incisivo e struggente quando le parole vengono a mancare, e a esprimere i moti interiori rimane il linguaggio potente dei corpi; fortemente evocativi, in particolare, i momenti di rifrazione e interazione della Raffaelli con il suo doppio, Luciano Ariel Lanza, nelle coreografie curate – come i costumi – da Laura Dondi. Come Pan, Peter ha paura di crescere. I cambiamenti imminenti di quel corpo già incomprensibile prendono la forma di minacce, accrescono il suo disagio. Come Pan e la sua ombra, il maschile e femminile si specchiano, si confrontano, lottano in quel percorso di transizione che è prima di tutto mentale e che infine porta all’affermazione compiuta del proprio sé. Barrie racconta che Pan “come tutti i neonati” è mezzo essere umano e mezzo uccello e che un giorno, quando la mamma ha lasciato la finestra aperta, ha spiccato il volo per scappare di casa. E anche Peter vorrebbe avere le ali, anche lui attraverserà quella finestra…
Con il linguaggio semplice delle favole, (ma, si sa, la semplicità è difficilissima da raggiungere) The Baby Walk articola in scena e in maniera chiarissima, lampante, la riflessione su una realtà che è davvero necessario conoscere, oggi più che mai, in un frangente storico in cui attorno alle questioni dell’identità di genere vige ancora, nella maggior parte dei casi, disinformazione – o peggio informazione distorta – e grande confusione. Perché tutti noi in fondo siamo esseri la cui identità è in continua fluttuazione e formazione. Perché non si identifichi più come patologia quello che non si riconosce (parafrasando Paul B. Preciado).
La Trilogia continua all’Elfo con “Stabat Mater” (7/8 marzo) e “Un eschimese in Amazzonia” (9/10 marzo).
Mariangela Berardi