Pascal Rambert al Teatro Astra di Torino: una messinscena facinorosa
Torino, Campidoglio. Dopo l’ultimo decreto, anche il Teatro Astra è ripartito, e ha scelto di farlo con Pascal Rambert: autore, coreografo e regista classe 1962; celebrato più che altro all’estero ma, per i torinesi, un debuttante. Il testo s’intitola Sorelle, ed è l’adattamento in italiano di Soeurs, già approdato a Parigi e Madrid. Sul palco ci sono Anna Della Rosa e Sara Bertelà: due interpreti sicuramente capaci, che già in passato hanno dato prove della loro competenza attorale. Le repliche sono iniziate martedì 4 maggio e si concluderanno mercoledì 12; questa recensione racconta la replica del 7.
Interrogato sul contenuto della messinscena, l’ideatore spiega che si tratta di uno smisurato conflitto tra due donne che tutto separa e tutto riunisce. Una lotta all’ultimo sangue. Parola contro parola. Corpo contro corpo. Per dirsi – attraverso tutta questa violenza – solamente una cosa: l’amore che provano l’una per l’altra. Non esiste una trama, mi piace immaginare lo spettacolo in termini di energia. Non mi interessa raccontare una storia di conflitto ma focalizzarmi su come le interpreti incarnano il testo. Sull’energia reale e organica che scaturisce dalla relazione che i loro due corpi instaurano nello spazio. Quando dico che si tratta di uno scontro tra due sorelle, dico tutto e allo stesso tempo niente. La forza del conflitto risiede, infatti, su due elementi: il potere dello scambio verbale e l’eco che questo genera nello spazio e nel tempo. È qualcosa che si rinnova ogni sera e che richiede un notevole sforzo fisico.
In uno spazio privo di scenografia, due pile di sedie attendono di essere sistemate. Irrompono due figure che strepitano e divergono. Assieme a loro, un terzo personaggio: l’alterco. Le due protagoniste litigano fino allo stremo, e (complice la pervicacia di entrambe) non raggiungono mai un punto d’intesa, tanto che dopo un po’ lo spettatore medio (ma anche gli altri) si domanda perché mai queste due signore non affrontino la situazione con l’acquiescenza degli adulti indaffarati e responsabili. E se siamo tutti d’accordo che la diplomazia è una virtù, allora la domanda permane e, soprattutto, non evolve. I due personaggi sono distinti, lontani; e non possono, o, più facilmente, non vogliono superare le loro divergenze… quindi perché perpetrare uno scontro se questo è destinato a diventare sterile? Se si è inconciliabili, dopo un numero limitato di tentativi si può anche decidere di allontanarsi. Siamo diversi, e forse è meglio così. In questa impasse drammaturgica, le attrici, data la loro innegabile bravura, si limitano ad interpretare il testo, rispedendo però al mittente (ovvero, il regista) tutte le questioni più spinose. Ci si aspetta, pertanto, che il dialogo si dirotti da solo verso uno scioglimento, il che però non avviene. Il colpo di scena non arriva, la peripateia non s’instaura, dunque il tutto rimane irrisolto, presumibilmente per ragioni valide ma anche imperscrutabili. L’autore chiede alle attrici uno sforzo enorme: devono incarnare due figure poco plausibili (ma per nulla metafisiche) non tanto per via di quella rivalità o del rancore insanabili, quanto per la loro instancabile propensione al litigio prolisso, che nasce disutile e muore futile. Due individui che non si stimano e che non si comprendono alla lunga vorranno evitarsi, poiché anche il più polemico tra di noi dopo un po’ riconosce che non serve a nulla combattere contro l’incorruttibile. E non importa quanto la morale religiosa cerchi di indottrinarci, partendo da Caino e Abele, che dobbiamo amare il prossimo nonostante magari non lo meriti, anche quando il prossimo è quel nostro fratello di cui tuttavia non capiamo il valore. Peraltro, il conflitto fra le due è, inizialmente, di carattere personale (banalmente, s’incolpano a vicenda per svariate ragioni), ma poi lo scontro, e di conseguenza la disistima, si spostano su livelli altri ed improbabili, che scomodano la psicologia e puranco la geopolitica. Se, insomma, si è interessati alle occasioni teatrali di carattere (volutamente?) sconclusionato e verbalmente facinoroso, questo spettacolo merita di essere visto.
Davide Maria Azzarello