“L’esercizio” – L’esordio di Claudia Petrucci
Giorgia, Filippo e Mauro sono i personaggi principali intorno a cui gira il romanzo “L’esercizio” (La Nave di Teseo, 2020, pp. 336, euro 18) di Claudia Petrucci, che parte dalla situazione di vita quotidiana di una giovane coppia, Giorgia e Filippo, per arrivare a toccare un punto di non ritorno, a causa della malattia che Giorgia si porta dietro sin da bambina e che improvvisamente, tra situazioni nuove e ricordi del passato, arriverà al suo culmine. E allora ecco che per Filippo arriva il momento di ricominciare e di fare i conti con la sua nuova vita e con ciò che da questa situazione ne consegue: l’assenza.
“I dettagli ingombrano l’addio: il blu delle occhiaie di Giorgia, le presenze visibili e invisibili che ci assediavano, il suo profumo – ne è rimasto nelle federe dei cuscini, a casa, e negli ultimi vestiti che ha indossato – persiste con ostinazione, nonostante i quattro mesi intercorsi dalla tragedia al presente.”
E accanto a lui si ritrova, per una serie di casualità Mauro, il regista della scuola teatrale di Giorgia che, a un certo punto, diventerà in qualche modo anche regista e manipolatore della vita di Filippo.
“Sento comunque quando non c’è più, ritorno dentro alla pellicola di isolamento.”
L’autrice ci narra la storia attraverso la voce di Filippo, che diventa il narratore di sé, ma anche e soprattutto della vita di Giorgia o forse della “storia che ho raccontato a me stesso” o a ciò a cui aveva voluto credere. Ma la sua verità corrisponde anche alla realtà di Giorgia? Filippo non ha altra scelta se non quella di continuare a muoversi in modo meccanico, incastrato in una situazione che lo abbatte ma che, allo stesso tempo, gli dà la possibilità di ritrovarsi attraverso altre strade, attraverso un esercizio: la scrittura.
Claudia Petrucci – con pagine fluide e chiare, nonostante la complessità dei temi trattati – ci parla del nostro doppio, del rapporto con gli altri e della nostra proiezione nella realtà. Lo fa attraverso lo studio della finzione drammaturgica, che ci trasporta in un inevitabile viaggio introspettivo dentro noi stessi, di cui non sempre conosciamo la meta: “dunque, noi interpretiamo inconsapevolmente. L’attore, invece, quando adotta un’altra identità, lo sa e persevera fino a scomparire. Qui veniamo al nodo: chi rifiuterebbe se stesso nel pieno delle proprie facoltà? Lo facciamo tutti continuamente, è chiaro, ma a patto di non rendercene conto.”
Marianna Zito