“La sublime costruzione”, la nostra.

Gianluca Di Dio, sceneggiatore, copywriter, librario e scrittore, ha di recente pubblicato “La sublime costruzione” (Voland, pp. 209, euro 16).
“Per gran parte della mia vita ho creduto di dover raggiungere un luogo che mi era destinato. Avevo combattuto una lunga guerra ed ero pronto a tutto pur di arrivarci. Un luogo che ha continuato a nascondersi per anni e che non ho mai smesso di cercare. Fosse reale o no, ero convinto di trovare lì tutto me stesso, a mia dignità, ogni cosa che mi apparteneva e che avrebbe fatto di me un uomo conosciuto. Quel luogo, adesso lo so, era come il punto i cui l’arcobaleno tocca una foresta, sembra sempre di intravederlo, di poterlo raggiungere, in fondo, ma più vai avanti più ti svanisce dinanzi agli occhi, inesorabilmente. E tutto il viaggio compiuto, alla fine, non è altro che un interminabile ritorno al punto da cui sei partito, al luogo che hai abbandonato.”
La città di Andrej non esiste più. Tutto il suo mondo è stato spazzato via da una catastrofe seguita a una lunga guerra. L’unica possibilità di riavere una vita è offerta da una fantomatica corriera diretta verso nord, alla volta di un cantiere dove si sta realizzando un progetto universale: La Sublime Costruzione, che darà lavoro a tutti e ha bisogno di tutti, in cui ognuno potrà mostrare le sue doti e abilità, un cantiere perenne.
Andrej e l’inseparabile amico Årvo s’imbarcano sull’enorme corriera bianca che li accoglie come una nave-dormitorio, sotto la guida di strane figure di reclutatori, iniziando così la loro traversata con bislacchi compagni di viaggio. Ma soprattutto, i reclutati dovranno affrontare cinque tappe simboliche, cinque falsi approdi, tra pescatrici, sonnivori, colossi, corruttrici prodighe e il regno dei morti, ognuno dei quali ha come riferimento una peripezia di Ulisse.
Gianluca Di Dio si arrischia alla riscrittura, in chiave moderna eppure a tratti aulica, dell’Odissea: un riferimento e un intento, dichiarati all’inizio di ogni capitolo, che si apre proprio con frasi tratte dal poema omerico. E ci porta dunque in questo rocambolesco e fantasioso viaggio, una metafora che è un inno alla bellezza della vita, a prescindere da quel che accade, alla bellezza del solo vivere in sé, in cui tutto può diventare meraviglia, e anche la noia può essere (è) un privilegio da non sottovalutare. Un inno alla capacità vera di godere dell’azione di un solo istante, smaterializzato dalla logica e dal contesto, insomma bellezza pura.
Emerge, bellissimo e prepotente, il concetto che un uomo è un uomo proprio perché può fare tutto, e per fare tutto bisogna desiderarlo e impegnarsi, per dare un senso, nostro, in mezzo al disordine incomprensibile del mondo. Ma in mezzo al tutto bisogna essere lungimiranti e coscienti abbastanza da capire che pensare di fare tutto, allo stesso tempo, è un’idea vigliacca, nata per confonderci. Bisogna allora trovare il proprio piccolo sentiero, una piccola cosa a cui dedicarsi che, se fatta bene, è già una vita intera. Una sublime costruzione, la nostra.
“Forse non saprò spiegarle chi siamo per davvero, né descriverle la mente o il luogo in cui abbiamo preso forma, forse riuscirò solo a dirle che tutto è un’unica e insondabile illusione, ma so per certo quale compito ci aspetta: fino all’ultimo dovremo apparecchiarci a un interminabile cammino di speranze. In questo viaggio astruso e senza ritorno, forse mostruoso, ma che immancabilmente dischiuderà la vita e la sua immutabile bellezza. Un viaggio che condurrà ancora e sempre a una sublime costruzione”.
E dunque, la fatica di vivere, la gioia di saperci riuscire.
Laura Franchi