La libertà secondo Michele Fazio Trio nel nuovo disco “Free” – L’intervista
Dal 3 dicembre è disponibile per Abeat Records “Free”, il nuovo disco di Michele Fazio Trio con special guests Fabrizio Bosso e la violinista giapponese Aska Kaneko. In questo disco Michele Fazio suona in trio con Mimmo Campanale alla batteria e Marco Loddo al contrabbasso. “Free…” è composto da undici brani originali più un omaggio a Modugno con l’intramontabile “Nel blu dipinto di blu”. Abbiamo fatto qualche domanda a Michele Fazio per saperne di più.
Buongiorno Michele, sono passati sei anni dal suo ultimo album in studio, “L’acrobata”, come e quando sono nati i brani di “Free”?
I brani del mio album “Free” sono nati, come sempre succede per quanto mi riguarda, da spunti e intuizioni che poi elaboro fino a trovare la forma giusta di tutto. Tutte le composizioni sono state scritte tra il 2018 e il 2019.
Il titolo “Free” è un messaggio forte, soprattutto quest’anno in cui la libertà è stata molto limitata, come mai questo titolo?
Il titolo ha varie interpretazioni per me: libero è chi non mette condizioni al suo modo di essere e di agire, libero nella musica perché quello che sto facendo negli ultimi 10 anni è comporre senza riferimenti, ma attingendo solo da me stesso. Comunque, il titolo è anche molto ispirato alla foto di copertina.
Parlando proprio della copertina cosa rappresenta per lei questa immagine?
La grafica è di Marina Barbensi e questo è il secondo album che faccio con lei. Marina ha la grande capacità di non farsi sfuggire mai il senso del disco ma lo esalta e gli dà una verità. Mentre la foto di copertina è del mio amico fotografo Roberto Covi. Tra l’altro sua è la foto di copertina di un disco del grande Jeff Buckley. Tre anni fa mi regalò quella foto e mi disse che sarebbe stato felice se fosse diventata la copertina di un mio disco e quando la vidi mi ci ritrovai completamente. È come se lui sapesse che quella sarebbe stata la foto di me e della mia musica. Questo è forse il motivo vero per cui l’ho chiamato “Free”, mi sono ispirato a quella foto.
Nel disco ha inserito anche una versione rivisitata di “Nel blu dipinto di blu”, che significato ha per lei quella canzone?
La verità è che Mario Caccia di Abeat records, la persona che mi segue in questo percorso da dieci anni, mi aveva proposto di inserire nell’album una cover italiana e ho pensato subito a “Volare” che rappresenta la Puglia, il mare, Domenico Modugno ed è il pezzo italiano più famoso al mondo. E allora ho pensato di dargli un vestito più vicino alla mia musica e più intimo, speriamo che piaccia.
Con Fabrizio Bosso ha composto “The Arrival”, il brano finale del disco; come é nata la vostra collaborazione?
Dal 1995 al 2000, Fabrizio Bosso giovanissimo viveva a Bari come me e spesso suonavamo insieme. Noi tutti sapevamo già che sarebbe diventato tra i trombettisti più forti al mondo. Nel 2000 lui ha suonato nella mia colonna sonora del film di Sergio Rubini “Tutto l’amore che c’è”, da quel momento in poi io mi sono trasferito a Milano e lui a Roma e ci siamo un po’ persi di vista. Per questo album c’era un pezzo che ho voluto dedicare al mio viaggio a New York e ho pensato che il suono della sua tromba sarebbe stato perfetto e per me così è stato. Volevo chiudere l’album nel modo più intimo possibile e ho pensato al pianoforte e la tromba insieme. Ho costruito un piccolo telaio che ricordava molto una parte dell’album e ho chiesto a Fabrizio di improvvisare un tema e di ascoltare solo il suo istinto. Devo rivelare che abbiamo provato 5 minuti e quello che si sente nel disco è l’unica e sola take, sembrava suonassimo quel pezzo da sempre.
Invece in “Cerchi d’acqua” ha coinvolto la violinista giapponese Aska Kaneko, il suo violino è da brividi, in che occasione vi siete incontrati la prima volta e avete deciso di collaborare?
Aska Kaneko, chi la conosce sa che è un genio e io sono stato fortunato. Mi sarebbe piaciuto fare quel brano con un violino e il mio discografico conosceva bene Aska. Le abbiamo mandato il pezzo e a lei è piaciuto. L’esperienza di registrare con lei è stata per me clamorosa, la sua intensità e la sua potenza musicale l’avverti talmente forte che ti sembra di toccarla.
Ha collaborato con tantissimi artisti in ambito teatrale e cinematografico e con diversi cantanti di musica leggera; nonostante questo è sempre tornato al jazz, al primo amore che non si scorda mai: cosa la incuriosisce degli altri mondi artistici e in che modo influiscono sulle sue composizioni?
Devo dire che io ho suonato, credo quasi tutto, perché non mi sono mai fermato da questo punto di vista e non mi sono mai dato dei limiti. Il teatro, i tour, le due colonne sonore e i recital teatrali con Sergio Rubini sono tutte esperienze che raccolgo in un contenitore da cui attingo per trovare una strada da percorrere che sia completamente mia.
Rispetto ai lavori precedenti, come definirebbe “Free”?
“Free” lo considero una tappa fondamentale e non riesco a fare il confronto con gli album precedenti perché fortunatamente noi cambiamo e speriamo sempre di evolverci.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Per il futuro in questo momento storico è difficile fare progetti ma spero di poter portare in giro questo album, vorrei suonarlo dal vivo prima possibile.
Come avvenne il suo avvicinamento alla musica e al jazz in particolare?
Suono il piano da quando avevo 8 anni grazie alla mia famiglia e la mia maestra di pianoforte con la quale studiavo musica classica. Da piccolo avevo degli amici, che ancora ho, più grandi di me che ascoltavano jazz e che erano sempre alla ricerca di musica nuova. Il mio amore per il jazz nasce proprio da quell’esperienza e da quella necessità di scoprire sempre.
Roberta Usardi
Fotografia di Roberto Cifarelli
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