“La carne”, nutrimento e morte
“Succede che il mondo si sgretola e non sai se ti sgretolerai con lui o cambierai tutto per rimanere intero. Il modo di parlare, il modo di vestire, la musica che ascolti, i pensieri, le azioni, le certezze, le paure”.
C’era un momento in cui le cose erano. C’è un momento in cui le cose sono. C’era un momento in cui era vita. C’è il momento in cui non lo è più. Un tempo, il protagonista di questo libro, “La Carne” (Neo. Edizioni, pp. 163, euro 14) scritto da Cristò, aveva otto anni ed era felice. Alla fine ne compirà ottantuno e probabilmente sarà anche morto, senza saperlo. La sua felicità è finita presto, in un modo irreversibile, e la sua vita continua adesso attraverso le somiglianze nelle vite degli altri.
“Un bambino così aspetta di diventare vecchio sapendo che non sarà mai grande”.
Accanto a lui – che è voce narrante – ci sono un medico, Tancredi, Giulio e Monica e poi ci sono loro, i malati o imprecisamente zombi, privi di linguaggio, coscienza e conoscenza, affamati continuamente di carne, che non muoiono mai ma continuano a vivere, anche da morti, attraverso “milioni di occhi”, in un mare di teste. Le storie dei personaggi si susseguono, dove finisce una inizia l’altra, e viceversa. Si confondono in sequenze oniriche sovrapposte, fino a dividersi nuovamente. Gli zombi scrivono di notte, sognano Averroé e mangiano, scene spontanee circoscritte dall’orrore. Ognuno può diventare uno di loro, una pandemia che dura da troppi anni oramai, a causa della quale le persone malate, inglobate perfettamente nella società, cercano solo carne, non parlano e non vivono più, si ammalano senza morire, moltiplicandosi.
“Io non esisto e decisamente il mondo non è più come quando avevo otto anni. Anzi, non potrebbe essere più diverso”.
“Tutto è nuovo in questo libro: i personaggi, la lingua, l’intreccio” scrive Paolo Zardi nella postfazione. È vero, è tutto nuovo perché comincia tutto in modo normale, fino a toccare l’orrore, che – a pensarci bene – altro non è se non la nostra quotidianità, fatta di mille vite e altrettante morti, in una decostruzione onirica della realtà.
Marianna Zito