“La bottega del caffé”: Michele Placido alla Pergola di Firenze

Michele Placido è Don Marzio, protagonista de “La bottega del caffè”, con la regia di Paolo Valerio, che porta in scena al Teatro della Pergola di Firenze dal 31 Gennaio al 5 Febbraio la più famosa delle “sedici commedie nuove” di Carlo Goldoni.
In un campiello popolare della Venezia del 700, nel giorno di Carnevale, si alternano personaggi vari, non più maschere stereotipate, ma tipi umani con le loro vicende quotidiane. Emblemi dei vizi e delle virtù di una società decadente osservata dagli occhi disincantati del nobile napoletano Don Marzio, che, seduto al tavolo del caffè, osserva, parla e straparla, smaschera le vicende che si alternano nella limitrofa locanda, nella casa della ballerina, nella bisca di Pandolfo.
La pièce teatrale, un unico atto di circa 1 h e 50’, si svolge in un unico giorno, al centro la bottega del caffè di Don Ridolfo dove passano i vari personaggi per un caffè e una chiacchierata e dove, puntuale come tutte le mattine, Don Marzio siede a scandire il tempo della vita dei vicini con l’orologio non funzionante (sono le otto o le dieci del mattino? Poco importa, l’importante è informarsi e informare sulle novità del vicinato) e a osservare la giostra di vicissitudini umane che si alternano attorno al caffè.
Sul palcoscenico della Pergola, il campiello è ricostruito dalla sapiente mano di Marta Crisolini Malatesta, i palazzi mancano delle facciate esterne cosicché l’occhio dello spettatore può entrare nelle vicende intime dei personaggi, coglierli nella loro quotidianità, un rimando allo spirito di questa brillante commedia sull’arte del chiacchiericcio e del farsi gli affari altrui. Il linguaggio popolare settecentesco, a volte quasi “volgare”, è un altro riferimento a quella visione goldoniana del teatro che trova ispirazione nella quotidianità della vita delle calle.
È un mondo variopinto quello che dipinge Goldoni, scandito dalla voce dissonante e veritiera, a tratti antipatica e brutale di Don Marzio, interpretato da un magistrale Michele Placido che tiene il tempo dell’opera con grande gestualità cogliendo l’essenza del linguaggio popolare settecentesco. È l’antieroe che manovra questa giostra di pettegolezzi e maldicenze, racchiudendo in sé quell’aspetto tragicomico tipico delle commedie goldoniane. A lui si contrappone il proprietario del caffè Don Ridolfo, che rappresenta invece l’eroe puro, colui che cerca in tutti i modi di inculcare i valori dell’onestà e della lealtà, di consigliare, di contrapporsi alla logica dell’usura. Ma nella visione goldoniana del teatro e della vita, la società è malata, corrotta e decadente e finisce per inglobare nella sua rete tutti i personaggi, nessuno escluso.
Le vicende avranno sì il loro lieto fine, la moglie perdona il marito che ha dilapidato il patrimonio al gioco, due amanti si ritrovano e il cattivo è catturato dalle forze dell’ordine proprio grazie a quel gran chiacchierone di Don Marzio, ma il finale lascia l’amaro in bocca perché lo smascheratore verrà deriso, isolato ed emarginato. Diventerà il capro espiatorio di una società che probabilmente non accetta di guardarsi allo specchio preferendo nascondersi dietro la maschera delle apparenze.
Ilaria Francolino