“Inverno” di Jon Fosse: la catastrofe meravigliosa dell’amore – Intervista al regista Michele Di Mauro
Di questi tempi, con i teatri chiusi, sembra strano sentir parlare di nuovi allestimenti o di nuovi progetti, ma è proprio questo il carburante dei lavoratori dello spettacolo, che usano questo momento storico per continuare il loro lavoro. Pertanto, non è raro che si svolgano prove e si mettano in piedi nuovi spettacoli, come ad esempio “Inverno” di Jon Fosse, che alla fine gennaio verrà allestito al Teatro Binario 7 di Monza e registrato per poter andare in scena non appena sarà possibile. Il testo è stato adattato da Michele Di Mauro, che cura anche la regia, e interpretato da Silvia Giulia Mendola e Pasquale Di Filippo. Abbiamo contattato telefonicamente Michele Di Mauro per farci raccontare questo nuovo spettacolo.
In questi giorni sta lavorando con Silvia Giulia Mendola e Pasquale Di Filippo a “Inverno” di Jon Fosse, come ha scelto questo testo e come lo ha adattato?
Alla base di questo spettacolo c’è un desiderio di collaborazione con Silvia Giulia Mendola e Pasquale Di Filippo. Abbiamo cercato insieme un testo su cui lavorare, che avesse pochi personaggi, e ci siamo trovati su “Inverno” di Fosse, che è un autore che conosco perché come attore ho recitato in “Sogno d’autunno” al Teatro Stabile di Torino con Giovanna Mezzogiorno e la regia di Valerio Binasco. C’era anche un’altra possibilità nel testo “Qualcuno arriverà” sempre di Fosse, con tre personaggi, ma alla fine Silvia Giulia e Pasquale hanno scelto di lavorare su “Inverno”. Prima di cominciare le prove, che si sono svolte prima per una decina di giorni su Zoom e in seguito dal vivo a Milano per tre settimane, ho fatto un primo adattamento che non aveva niente di trascendentale, se non l’intenzione di editare il testo, che ogni tanto si sclerotizza su se stesso. Mi sono accorto durante le prove che con piccoli accorgimenti, spesso sotto forma di piccoli tagli, si arriva in luoghi più vicino a noi e un po’ più lontani dal testo scritto. Stiamo tentando di portare il testo di Fosse più vicino al nostro cuore e al nostro corpo.
“Inverno” si svolge in due ambienti, con due personaggi, come descriverebbe la trama?
Il testo si svolge in due ambienti, una panchina e una stanza d’albergo, che si alternano per due volte per quattro quadri, alternati esterno – interno – esterno- interno. Fosse non dà un nome ai personaggi, li chiama “uomo” e “donna”, come spesso fa nella sua drammaturgia. Per quanto mi riguarda ho lavorato con gli attori, non c’è nulla che non si possa far insieme, il progetto è al centro e attori e registi gli stanno attorno e cercano di farlo crescere. Ogni tanto spuntano istinti, intuizioni, desideri, voglie, suggerimenti. Raccontiamo una storia d’amore molto improbabile: il personaggio femminile è una prostituta trasandata, di cui non si sa nulla. Lui è un impiegatuccio, un uomo che si trova in città per appuntamenti di lavoro, ma che vive fuori città e ha una moglie e due figli. Questa è la base della storia. Questi due punti di partenza si scontrano e si incontrano sia nei dialoghi sia nello svolgersi della vicenda. Non si può fare a meno di tutto questo, ma neanche di quel qualcosa che a un certo punto della vita arriva e provoca una catastrofe meravigliosa, in senso positivo. Loro non ci credono fino in fondo, soprattutto lei, che racconta questa impossibilità persino alla fine. Un autore così gelido e plumbeo e prepotentemente drammatico come Fosse dà la possibilità di un lieto fine, nonostante, nelle parole, non lo sia fino in fondo. La sospensione finale è meravigliosa, ha una sua apertura che porta fuori dai due luoghi che abbiamo conosciuto fino a quel momento.
Su quali punti ha voluto sviluppare la regia?
In merito alla regia c’è un punto che teniamo presente e che forse al pubblico non interessa e che non vedrà fino in fondo: raccontiamo la storia di questi personaggi che si incontrano in un parco, che in realtà è un cimitero: la panchina è formata da due tombe vicine, un po’ come succede nei cimiteri nordici, con le tombe matrimoniali, alcune fatte a forma di letto. Dentro il testo le parole stanno esattamente nei luoghi in cui loro si sono già incontrati. Loro si conoscono da sempre, cosa che ogni tanto si dice nelle storie d’amore quando arriva l’implacabile. È stato un elemento utile per il nostro lavoro, per trovare una specie di intimità tra i due personaggi, qualcosa che stesse più nel passato che nel presente.
Come mai il testo si chiama “Inverno”?
È un topos di Fosse quello delle stagioni, spesso all’interno del titolo delle sue piéce c’è una stagione. Le sensazioni stanno dentro a queste vite che si incontrano e nel modo in cui si rapportano, che ha qualche cosa di glaciale. Inoltre l’ultima scena in albergo si svolge intorno al periodo di Natale, con un alberello acceso e i cartoni animati in tv.
In quale arco temporale si svolge la vicenda?
Non viene detto esattamente, ma abbiamo scelto di collegare i primi due quadri nello stesso giorno. Il terzo e quarto quadro sono collegati, ma tra il secondo e il terzo quadro è passata almeno una settimana. Un arco brevissimo per dare alla vicenda la dimensione catastrofica. Le cose importanti si decidono in fretta e quando si parla d’amore è facile che esista la catastrofe meravigliosa.
Come è andata con il linguaggio di Fosse?
Per poterlo recitare con tranquillità, consapevolezza e concretezza abbiamo dovuto fare il lavoro di scrivere tutto quello che lui non ha scritto. Spesso si ha la sensazione che Fosse abbia detto il 60% di tutte le battute. Il 40% che manca l’abbiamo detto in noi durante la preparazione per arrivare a quello che normalmente è chiamato sottotesto. In questo caso è fondamentale, spesso nella vita non diciamo tutto, ma nel quotidiano sia il tempo, la sostanza, sia il tipo di comunicazione concedono di dire molto meno di quello che serve perché ci si arriva facilmente. Questo permette di vedere in scena delle persone e non dei personaggi, rende lo spettatore più attento.
Che tipo di sonorità faranno da sfondo alle scene?
Ci sono due livelli musicali: uno è dato da una banda sonora, che ho fatto io, sotto pseudonimo, che ci è servita per cominciare il lavoro. Il personaggio di lei si porta dietro un borsone dove tiene anche la sua vita e all’interno ha un registratore degli anni ’70 con le cassette di cantanti italiani come Rita Pavone, Celentano, Milva. L’altro livello riguarda la musica per la scena che arriva da fuori, dal luogo e dal momento: sono il desiderio e il piacere di intendere la musica come luogo in cui le parole stanno bene. Non c’è mai il sottofondo, ma atmosfere legate alla psicologia dei personaggi, ad esempio una versione di “Perhaps, perhaps, perhaps” dei Cake, che Mimosa Campironi ha rifatto e ricantato, o una versione di Gino Paoli che si trova nei ringraziamenti fatti da un gruppo rock contemporaneo italiano.
Quanto dura lo spettacolo?
Non abbiamo mai cronometrato, a occhio è intorno a 75/80 minuti, un atto unico senza pause.
INVERNO di Jon Fosse
Regia di Michele Di Mauro
con Silvia Giulia Mendola e Pasquale Di Filippo
Scene e Luci: Lucio Diana
Assistente alla regia: Livia Castiglioni
Banda Sonora: Elvis Flanella
Musiche Originali: Mimosa Campironi
Tecnico di Compagnia: Davide Marletta
Ufficio Stampa: Federico Riccardo
Produzione Pianoinbilico e Gecobeventi
Roberta Usardi