Intervista a Luca S. Micheli: la musica, la radio e la podcast revolution
Radio e podcast, i regni dell’audio che stanno crescendo e appassionando sempre più persone. Se il concetto di radio è ben chiaro da anni, forse lo è meno quello di podcast, di cosa si tratta? Un podcast è un programma audio di solito seriale o a episodi che si trova in internet. Oramai sono tantissime le piattaforme digitali che ne offrono una vasta gamma, sia gratuitamente sia a pagamento. Un esempio di podcast, disponibile su Audible, è “Oltre il confine” di Matteo Caccia, che racconta la storia di Karim Franceschi. La colonna sonora originale è stata composta da Luca S. Micheli che è diventata un disco. Luca S. Micheli è autore, compositore, sound designer e regista radiofonico dalla pluriennale esperienza. Proprio in occasione di questo disco lo abbiamo raggiunto telefonicamente per fargli qualche domanda e addentrarci più a fondo nel mondo dei suoni.
Ciao Luca, con quale strumento ti sei avvicinato alla musica?
Io nasco come chitarrista. Ho iniziato a 14 anni a suonare nelle rock band, un modo per tirarmi fuori dalla noia della provincia, da cui provengo. Suonavo principalmente rock, poi ho avuto un momento in cui mi sono appassionato al jazz; ho avuto anche una fase cantautorale, in cui scrivevo brani un po’ più acustici, più intimi. Mio padre suonava, la musica c’è sempre stata in famiglia, poi ho frequentato le magistrali a indirizzo musicale, un corso sperimentale che è terminato con il mio quinto anno. Avevo 23 anni al mio primo stage: ho sempre fatto e cercato di fare musica funzionale per le parole o per le immagini. Trovare la musica giusta, il suono giusto per video o sequenze audio fa parte del mio percorso musicale.
Mentre studiavi Musicologia all’Università di Cremona hai incontrato Gaetano Cappa, regista radiofonico, con cui hai iniziato un lungo tirocinio presso l’Istituto Barlumen, una factory artistica di produzione multimediale. Pensi che questa sarebbe stata comunque la tua strada?
Come tutti, da ragazzino volevo fare il cantante o il chitarrista, poi le situazioni della vita mi hanno portato a fare altro. Quando ho iniziato a fare radio ho capito che mi piaceva, in particolare il montaggio, in cui, oltre alla componente musicale, era presente anche una componente di regia: dove far suonare la musica, in che punti farla suonare, come restituirla agli spettatori. Mi piace lavorare con gli attori o i conduttori in studio, trovare il tono giusto del racconto, il sound design, cercare i suoni nelle varie library. Ho capito abbastanza in fretta cosa mi piaceva fare e quale fosse la mia opportunità migliore, rispetto al percorso di chitarrista, anche se come chitarrista ho suonato con Pacifico nel 2012 in occasione del tour “Una voce non basta”. Si trattava di una postazione molto sonora: non solo suonavo la chitarra, cantavo, facevo le seconde voci, ma avevo anche una serie di apparecchi per i “giochi” sonori.
Nel 2020 hai pubblicato il tuo primo disco, che contiene la colonna sonora del podcast “Oltre il confine”, come mai hai scelto di pubblicarla come disco?
L’idea c’era da un po’. Trovandomi spesso a comporre musiche originali per i podcast, l’idea di fare un disco con questo materiale c’è sempre stata però non è stata così chiara fino a quando non ho iniziato a lavorare a “Oltre il confine”. Di solito non suono una nota finché non ho sentito le inteviste, il racconto, come suonano le voci, letto il copione. Il lavoro che faccio è mandare in play la voce del protagonista e provare a suonarci sopra, anche sbagliando le note, intercettando il ritmo del racconto. Da lì inizio a costruire, facendomi ispirare dalla voce: lo sviluppo è in simultanea con la narrazione e alla fine la musica è funzionale al racconto. A volte la musica da sola non ha senso per un disco, per questo ho scelto di partire al contrario: prima componendo la musica di qualche brano, sempre ascoltando la voce del protagonista, o leggendo il copione, ma senza seguire per forza la sceneggiatura, lasciandomi ispirare dall’atmosfera generale. Alla fine ho composto 4/5 pezzi un po’ più strutturati e quando mi sono messo a montare e a lavorare al podcast avevo del materiale già pronto; poi, durante la produzione ho composto gli altri brani. In questo modo ho avuto il materiale giusto per un disco che poteva essere ascoltato anche senza il racconto. È stato un momento in cui mi piaceva pensare che se per le serie tv e il cinema si facevano le colonne sonore, anche l’audio poteva averne una, non è un mezzo di serie b. Negli ultimi anni l’attenzione di chi sta dietro le quinte è aumentata: è bello poter dire di poter fare colonne sonore per i podcast, anche per i giovani che cominciano e si affacciano a questo mondo. La musica e il suono non sono aspetti secondari per far funzionare un racconto di narrazione.
Di solito un disco è abbinato a un singolo e a un videoclip, in questo caso il disco è abbinato a un podcast, a un audio; l’intento è di evocare in chi ascolta le immagini insite nei suoni, giusto?
Sì, l’idea è di cercare di far arrivare delle immagini a chi ascolta, senza una voce guida. Si può fruire indipendentemente dall’ascolto del podcast anche se io, ascoltandolo – forse perché conosco la storia – sento che manca qualcosa. Ma è questo che mi fa capire di avere lavorato bene, perché a mancare sono le voci del podcast. Lavorare a un podcast per me è come lavorare a un disco, costruisco la canzone o il suono intorno alla lead voice, mescolando gli elementi ritmici e melodici per creare il sound giusto per la storia.
Sei passato dalla radio al podcast e hai vissuto l’evoluzione tecnologica dei nuovi mezzi, come vedi l’evoluzione del podcast in futuro? Secondo te il lockdown ha influito sulla crescita del podcast?
Il fatto di essere chiusi in casa ha accelerato una tendenza che c’era già, il podcast era già in crescita e il lockdown ha fatto fare l’impennata, sia dal punto di vista delle richieste di persone che li vogliono fare sia dalle case di produzione. Sempre più persone oggi sanno cosa sia un podcast, è un momento in cui è in grande slancio. Adesso ho appena lavorato a “Ossigeno”, appena uscito, con Paolo Giordano prodotto da Chora Media, una nuova casa di produzione diretta da Mario Calabresi che sarà votata solo al podcast; fino a qualche anno fa era impensabile fare solo questo. La podcast revolution di cui si è sempre parlato è nella sua fase di maggiore espansione, credo lo sarà sempre di più nei prossimi anni. Adesso ci sarà un’esagerazione, un momento in cui tutti faranno podcast, poi, come tutte le cose, si livellerà. Ora mi sembra di sentire lavori piu belli, prodotti meglio sia dal punto di vista del suono sia dal punto di vista della scrittura, che è diversa rispetto a quella per la tv o il cinema. Anche i brand si stanno interessando sempre di più e ció significa anche più potenza e più soldi per produrre. La radio è un’altra cosa, un altro linguaggio, un altro tipo di impostazione e ritmo.
Tu ascolti podcast?
Sì, li ascolto, cerco sempre di sentire se c’è qualcosa di interessante, come suono e come idee. Pablo Trincia è un grande fagocitatore di podcast e me li segnala. Non sono un grande ascoltatore, forse perché ho già tanta roba nelle orecchie e quando stacco dal lavoro magari guardo un film o leggo un libro. Con Matteo Caccia in “Linee d’ombra” e in “Pascal” spesso vengono raccontate storie che prendiamo da podcast americani, tradotte in una forma più stretta. Quando le storie mi interessano vado a sentire il podcast originale per capire come suona, come è stato impostato e chi ci ha lavorato.
Quali sono i tuoi artisti preferiti?
Ho una passione per Elliott Smith, un cantautore che è stato folgorante per me. Ascolto tanto la musica rock degli anni 70: Led Zeppelin, Rolling Stones, Beatles. Tra gli italiani ascolto Pacifico: ha la capacità di raccontare storie e sentimenti attraverso le canzoni, è un maestro. Poi c’è una parte di musica heavy che mi trascino da quando ero ragazzo. Ascolto tante cose. Per “Linee d’ombra” seleziono le canzoni delle playlist delle puntate, che scelgo in base alle storie che vengono raccontate.
Che artisti hai ascoltato recentemente?
Ultimamente ho sentito “Fetch the Bolt Cutters”, l’ultimo disco di Fiona Apple, poi mi piace FKA Twigs, M. Ward e un cantautore folk americano, Gregory Isakov. Tra i compositori di colonne sonore mi piace molto Rob Simonsen, che ha composto principalmente musiche per film non mainstream, in certi casi la sua musica è più bella del film. Ho notato che ascoltare musica non mi rilassa tanto, ho un ascolto tecnico ed è come continuare a lavorare. Quando ho bisogno di riposarmi le orecchie metto su un disco di Miles Davis oppure musica classica o un piano solo, in modo tale che diventi un ascolto un po’ più disinteressato.
Come cambia, se cambia, il modo di comporre una sigla (ad es. quella che hai composto per Caterpillar o per Alberto Angela) e la colonna sonora di un podcast?
Le sigle dei podcast hanno un senso rispetto allo sviluppo delle musiche all’interno del podcast e sono tutte collegate. Nel caso di Alberto Angela ho proposto un’idea sulla base di input che mi avevano dato, pensando all’argomento. La sigla di Caterpillar AM invece è stata uno dei lavori più difficili della mia carriera. Filippo Solibello mi chiese non solo di rifare il sound design del programma pensando alle basi sotto il parlato, ma anche la sigla, nonostante fosse bellissima e oramai storica. Essendo abituato a fare cose molto crepuscolari, comporre la sigla del programma del mattino è stata una bellissima sfida, che mi ha portato a un approccio diverso agli strumenti. Il punto cruciale è saper interpretare gli input che mi vengono dati: è difficile tradurre in musica l’idea che ha in testa l’altro. Tuttavia con gli anni sono riuscito ad affinare questo meccanismo e a individuare subito le esigenze.
Su cosa stai lavorando ora? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Uscirà a breve un’altra puntata di “Ossigeno”, il podcast di Paolo Giordano. Poi con Chora Media ci sarà una collaborazione con altri progetti. Sto anche lavorando su un altro podcast di Matteo Caccia registrato in estate, ma che sta prendendo forma adesso, dovrebbe uscire nel nuovo anno sempre per Audible. Dal punto di vista musicale vedrò se comporre altre colonne sonore, potrebbe essere un’idea sviluppare dei brani per creare vere e proprie canzoni, vedremo.
Ultima domande, una curiosità: la S. dopo il tuo nome cosa significa?
È il mio secondo nome, Serafino, che era il nome di mio nonno. Da bambino me ne sono sempre vergognato, però è un legame con questo nonno che non ho mai conosciuto. Per il disco mi sembrava bello metterlo, ha qualcosa di nobile e misterioso.
Roberta Usardi
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