IL VIAGGIO DI ENEA al Teatro Carcano di Milano
Una musica allegra, una festa, balli fino a tarda notte. Poi vai a dormire, ma di colpo si sente un rumore, uno scoppio, del fuoco che crepita. Ed è subito panico, ed è arrivata la guerra. Ogni secondo è prezioso, si radunano poche cose essenziali e si esce di casa, con l’intento di fuggire dalla guerra, anche se questo implica andarsene anche dalla propria patria. Rimandi classici nei nomi, ma realtà attuale nei fatti, si parte da una Troia che può essere qualsiasi città, verso una meta sconosciuta, si affronta il mare, i morsi della fame e della sere e basta un niente per morire.
Così fa Enea con la sua famiglia, la moglie Creusa e il figlio Ascanio, ma, come già si sa dai testi classici, Creusa si perde e qui rimane ferita e muore. A Enea rimane solo suo figlio e chi cerca una nuova terra come lui. Anche il nuovo incontro con Didone non lo ferma a rassegnarsi a essere un rifugiato senza permesso di soggiorno in una terra straniera. Il tema del profugo al quale è stata strappata la vita all’improvviso e che vuole riprendersela, anche se questo non è chiaro al resto del mondo che con altri occhi vede Enea e i suoi compagni come una minaccia, come un’invasione. E lo spettacolo si interroga bene anche su questo, sui diversi punti di vista.
Chi ha ragione? Chi vuole riprendersi la propria vita o chi vuole difendere la propria?
Lontano dalla guerra a volte può diventare un’altra guerra, ma andare via comporta coraggio, a volte abbattuto da speranze vane, fatto sta che Enea non fugge, non è “la fuga di Enea” e dalla guerra e dai morti di guerra, è “il viaggio di Enea” attraverso una parte di umanità che spesso sfugge, attraverso un percorso arduo e difficile di accettazione di se stesso e del mondo.
Un’ora e mezza di intensità per una sala gremita e un Fausto Russo Alesi che – insieme agli altri bravi attori e alla regia insolita e originale di Emanuela Giordano – brilla come sempre.
Roberta Usardi