“Il turbine umano” di King Camp Gillette
“Le riflessioni qui elaborate son dedicate all’umanità intera; la speranza d’affrancarsi da ingiustizia, miseria e crimine son egualmente auspicabili per chiunque al mondo.”
A scrivere questa dedica è l’autore di questo strano e dimenticato libro pubblicato per la prima volta nel 1894 e tradotto per la prima volta in Italia grazie alla casa editrice romana Elemento 115: “Il turbine umano” (Elemento 115, 2018, pp. 320, euro 15), scritto da colui che pochi anni dopo diverrà uno dei più grandi magnati di sempre degli USA, inventore di quel rasoio usa e getta che ancora oggi non smette di fatturare cifre favolose.
Ma cosa accomuna Gillette, uno dei simboli riconosciuti del capitalismo, classico esempio di self made man all’argomento di questo libro che è più pamphlet e saggio, piuttosto che un romanzo sulla scia dei più famosi, all’epoca, come Looking Backward: 2000-1887 (1888) di Edward Bellamy, o ancora Rip Van Winkle di Washington Irving. Questi due titoli non sono che esempi di un periodo, quello in cui si inseriscono le pubblicazioni di Gillette, in cui prosperano romanzi saggio di stampo utopistico. Sebbene la letteratura utopistica appartenga di preminenza all’Europa, viene stimato che, tra il 1714 e il 1947, si dedicarono al genere un numero di 154 autori. Il picco più significativo fu nel decennio tra il 1888 e il 1900, quello in cui si inserisce la pubblicazione de Il turbine umano. Il libro di Gillette e del già nominato Bellamy, a cui aggiungiamo per conoscenza anche Astor, Fishbough, Frederic e altri, sono contrassegnati dal concetto di socialismo utopistico: nato anch’esso in Europa, tra il XVII e XIX secolo, da pensatori come i francesi Charles Fourier e Saint-Simon o come l’inglese Roberti Owen, il socialismo utopistico, “quale prima forma ideale realizzata di socialismo, confidava nel metodo riformista per erigere la sua società, fondata sulla collaborazione comune e sulla fratellanza; altra differenza notevole fu il carattere di speranza e messianismo proprio del cristianesimo, cui neanche alcuni utopisti americani si sottrassero, e che affiora prepotentemente in Gillette, soprattutto nel senso ultimo del poema inserito nel testo, Lamento di Satana, intriso di una profonda e severa spiritualità” (Vanni De Simone). Simbolo dell’egoismo, “una pulsione che domina e caratterizza gli istinti animali, ma che viene sconfitto dalla forza della Ragione”, Satana recita:
“E qui nuovi pioli fissai / d’egoismo infinito, in bende avvolti / d’avarizia e avidità, sì che gli umani / tra loro si sbranassero mentr’io, / ancor su maestoso trono assiso, / sorveglio l’animo loro, / in reti avvolto di peccato e abiezione.”
Ma la Ragione ha poi la meglio tra gli uomini, e Satana deve lasciare questa Terra:
“Addio, addio, sulla terra ormai /non più spazio alcuno v’è per me, / e nel buio della notte celato / degg’io fuggir su un altro pianeta / ove, prima che il giorno muoia / o la Ragione un’alba nuova irraggi, / io possa rinnovare il poter mio.”
La Ragione che sconfigge l’egoismo rappresentato da Satana è quella utopistica che ha l’obiettivo, tutto teorico in verità, di riorganizzare la società umana secondo precise regole. Sinteticamente, per Gillette, la soluzione dei mali del capitalismo “stava nel capitalismo medesimo, e aveva un nome preciso: corporation, società per azioni. […] che non sarebbe stata più la creatura di pochi ricchissimi investitori ma di tutto un popolo, una SpA ad azionariato popolare, proprietà di tutto il popolo, e facente gli interessi di tutto il popolo.” (Vanni De Simone) A queste corporation, Camp Gillette diede vari nomi: United Company, People’s Corporation, World Corporation.
Luogo in cui l’umanità vivrà (all’epoca la cifra era intorno al miliardo di persone) sarà Metropolis, una megalopoli che somigliava a New York, al tempo stesso “una visione da sogno e una da incubo, sia per le smisurate dimensioni dei suoi giganteschi edifici, sia per la quantità di ospiti che avrebbe dovuto inglobare.” In questa visione utopistica, com’è ovvio, ciò che manca è l’idea che un capovolgimento della società umana possa avvenire senza violenze o ulteriori alternative di sorta, ciò che in fondo criticavano Marx e Engels nello loro Ideologia tedesca (1846), contrapponendogli un socialismo scientifico, che si occupava di ciò di cui gli utopistici sembravano dimenticarsi, ovvero dell’importanza dei rapporti sociali di produzione capitalistica e al proletariato industriale. Il socialismo utopistico, “quale prima forza ideale realizzata di socialismo, confidava nel metodo riformista per erigere la sua società, fondata sulla collaborazione comune e sulla fratellanza” (Vanni De Simone).
La particolarità del socialismo utopistico di King Camp Gillette e del suo Turbine umano sta nel riuscire a introdurre temi sociali diversi da quelli vissuti in Europa, trasformandoli in base alla situazione degli operai americani e dell’economia statunitense, che prima ancora della Depressione del 1929 aveva attraversato altri periodi di grosse crisi economiche.
Che valore possiamo dare, allora, a “Il turbine umano” di King Camp Gillette? Poco interessante dal punto di vista letterario, se non per lo strano mix di stili che usa l’autore per elencare la sua utopia (dal saggio al poema, dalla teoria economica a un’intervista/dialogo teatrale), resta un’utile e rara testimonianza, almeno nel nostro Paese, di una corrente di pensiero e letteraria poco conosciuta. Utilissima l’introduzione di Vanni De Simone, anche traduttore e curatore del volume, che delinea il periodo storico, filosofico e politico in cui si inserisce questo libro, e che ci restituisce il ritratto di un uomo contraddittorio così come il proprio Paese, macchina capitalistica che da sempre divora sogni, utopie, speranze.
Giovanni Canadè