“Il deserto”: cosa resta della vita di Jorge Baron Biza

Jorge Baron Biza racconta una storia vera. È la storia della sua famiglia, di suo padre che lancia un bicchiere pieno di vetriolo sul volto di sua madre, mentre stanno per firmare i documenti del divorzio. La narrazione dà al padre il nome di Arón Gageac e alla madre il nome di Eligia Presotto. Lui è, invece, Mario e questo atto violento e disumano accade proprio davanti ai suoi occhi. Ed è qui che inizia un lungo viaggio, quello della ricostruzione per Eligia e della perdita per Mario, che si trova anche lui a dover ricomporre tutta la sua vita, fino a quel momento. Sono in realtà Raul Barón Biza e Clotilde Sabattini alle prese con il loro “amore in negativo”. E sono il padre e la madre di un giovanissimo Jorge Baron Biza che, con “Il deserto” (La Nuova Frontiera, pp. 256, euro 18.50, traduzione di Gina Maneri) mescola in modo sapiente e geniale la sua vita alla narrazione, rendendoci partecipi, nei dettagli, di un viaggio doloroso sia fisico sia spirituale, da clinica a clinica, dall’Argentina alla Milano degli anni Sessanta.
È un viaggio duro, a tratti ostile, da cui nascono continuamente domande senza risposta che vanno ad accompagnare la trasformazione della carne del volto di Eligia, che man mano sembra avvicinarsi a qualcosa di simile a un’opera d’arte, in un diversificarsi di colori e di forme in mutazione continua.
“… bruciandola, non aveva eliminato la carne che amava, ma l’aveva sublimata per demolizione, come accade con le rovine romantiche”.
Un volto che oramai è solo memoria e ricordo e che inizia un cammino verso una nuova strada, una nuova realtà da accettare, fino a un punto necessario, dove diventa indispensabile “dare alla tragedia la propria natura”. E mentre ciò avviene in una Eligia immobile e rassegnata alla tortura delle abili mani dei medici, qualcos’altro si smuove in Mario, la cui vita è oramai prigioniera della routine di una Milano dal grigio sfumato, della solitudine e del dolore, tant’è che la vita sregolata del figlio nelle notti milanesi, tra alcol e prostitute, si sovrappone e quasi combacia perfettamente al periodo più scarnificato della vita della madre.
Il deserto è il vuoto. È ciò che resta a Mario mentre ripercorre la sua infanzia e la sua adolescenza, con riflessioni sul presente o su quel presente assente che è quella figura paterna di cui non esiste più traccia tangibile; ma è anche un libro che – come è accaduto al volto di Eligia, o meglio di Clotilde – ci ustiona a ogni pagina, rende vive e vivide le immagini che hanno attraversato gli occhi di un Jorge Baron Biza ventenne, ci lascia sgomenti e doloranti. Inermi davanti alla vita.
Marianna Zito