IL CANTO DEL CIGNO DI ROMEO CASTELLUCCI AL TEATRO DELL’ARTE DI MILANO

Dal 1 al 3 febbraio è in scena al Teatro dell’Arte di Milano, all’interno del Museo della Triennale, “Schwanengesang D744” concepito e diretto da Romeo Castellucci, un ospite rinomato e immancabile nel cartellone della stagione teatrale.
Questo “canto del cigno” unisce la musica al teatro, in quanto “Schwanengesang” è una raccolta di Lieder di Franz Schubert composti nel 1828, anno della sua morte, da cui Castellucci parte per lo sviluppo di questo lavoro teatrale. La totalità delle arti costituisce la “mission” del regista e nei 50 minuti di rappresentazione raggiunge direttamente lo spettatore, testimone della trasformazione e amalgama dello spettacolo. La scena è nuda e semplice, un telo nero occupa tutto lo spazio con molteplici increspature, che da lontano danno un’impressione di oscurità e mistero, sullo sfondo una parete scura. Scende il silenzio a luci ancora accese, spontaneamente, entra il pianista, Alain Franco, che si accomoda davanti a un pianoforte gran coda situato in platea. Poi, sul palcoscenico aperto, entra il soprano svedese Kerstin Avemo, piano, silenziosamente, fermandosi al centro a bordo palco. Un cenno al pianista e il canto inizia, leggero, intenso, con piccoli gesti e mantenendo un radicamento profondo, un’immobilità che risulta armoniosa e che non limita l’espressività della cantante. Che non si tratti di un semplice concerto è presto evidente: al termine di ogni Lied si avvertono sguardi, piccoli movimenti della testa o delle mani da parte della Avemo che portano a pensare, anche a chi siede lontano, che ci sia qualcosa non ancora svelato, che va oltre, che non sia solamente un concerto, ma molto di più. In effetti è così, non si tratta di uno spettacolo/concerto fine a se stesso, ma di un vero e proprio racconto che parte dalla musica di Schubert, che porta nei testi immagini dalla natura, dagli animali, dai sentimenti, che spaziano dal desiderio all’amore, alla malinconia, alla tristezza e alla solitudine.
“Lascia che anche il tuo cuore si commuova. Vieni e fammi felice!”
“La tristezza annega la mia vita”
Versi bellissimi, che trovano il loro apice nelle parole “Questo ci insegna il canto del cigno” che segna il cambiamento che era in agguato. La dinamica della musica e delle note cantate si affievolisce a poco a poco fino a fermarsi: avviene un turbamento che diventa un pianto, e lentamente la figura di Kerstin Avemo si sradica, si volta e cautamente, dalla sua posizione centrale si dirige verso il fondo palco, le luci su di lei diminuiscono. Il canto del cigno è arrivato al culmine. Cosa avverrà dopo?
Spettacolo molto intenso e nel quale niente è come sembra, che parte quasi nascosto per poi rivelarsi in modo inaspettato; i rumori della notte avvolgono ciò che prima era melodia, il frinire dei grilli sostituisce il canto del cigno. La fusione delle arti si è compiuta anche questa volta con successo grazie a Romeo Castellucci.
Da vedere.
Roberta Usardi